L’Italia vista dalla Russia. Una lettura critica del Rapporto dell’Accademia Russa delle Scienze

Nella convinzione che la conoscenza di punti di vista diversi possa contribuire a costruire ponti di dialogo in tempi assai difficili, Agenda Domani propone la presentazione e la recensione critica del Rapporto su “L’Italia in un mondo turbolento: politica, economia e società“, realizzato dall’Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS). Il direttore dell’IE, Alexey Gromyko, nel 2022 non è stato confermato nel comitato scientifico presso il Consiglio di sicurezza russo, dopo aver sottoscritto un documento che esprimeva «estrema preoccupazione» per il conflitto in Ucraina. Si ringrazia la curatrice dell’opera e Responsabile del Centro di studi italiani dell’Istituto d’Europa RAS, dott.ssa Elena Alekseenkova, per la collaborazione.

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Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS), L’Italia in un mondo turbolento: politica, economia e società, Rapporto dell’Istituto d’Europa № 412, Monografia, AA.VV. Mosca, IE RAS, 2024

Presentazione e recensione critica

di Giuseppe Davicino*

*Profilo Autore Giornalista professionista, esperto in ambito politico e sociale, direttore agenzia Agenda Domani Membro Laboratorio BRICS EURISPES dalla sua costituzione (2015) Co-autore IES (Institute of European Studies)  CASS (Chinese Academy of Social Sciences) : 6° Blue Book of Italy, Pechino, Cina, 2025 Co-fondatore di Connect-Italia, responsabile Dipartimento Comunicazione, Studi e Ricerche.

Indice

Introduzione

1. Il nuovo sistema dei partiti in Italia nel dopoguerra

2. Origini e senso dell’europeismo e dell’atlantismo (e neoatlantismo) in Italia

3. Una metamorfosi di sistema denominata “seconda repubblica”

4. Il trasformismo del populismo italiano: conseguenze per il sistema politico

5. La Russia nei media italiani

Conclusione

TESTO

Introduzione

Che l’Italia susciti ovunque in giro per il mondo attenzione, e non eserciti solo attrazione per le sue molteplici bellezze, è un fatto risaputo. Meno noto è l’interesse da parte di grandi istituzioni scientifiche di Paesi membri del Coordinamento Brics verso il Belpaese. È il caso dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS), istituita nel 1724 per volontà dell’Imperatore Pietro il Grande, già Accademia delle Scienze dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche a partire dal 1925, e tornata alla sua denominazione originaria con la costituzione della Federazione Russa nel 1991. La RAS nel 2024, attraverso il suo Istituto d’Europa (IE), fondato nel 1987 e attualmente diretto da Alexey Gromyko, ha pubblicato un Rapporto dal titolo L’Italia in un mondo turbolento: politica, economia e società1, nel quale viene esaminato lo sviluppo politico, economico e sociale della Repubblica italiana, e le sfide sociali che il Paese deve affrontare, nel contesto dell’attuale profondo mutamento dell’ordine internazionale, di rapido sviluppo tecnologico e di trasformazione del sistema di valori.

Il team di Autori ha analizzato in dettaglio i cambiamenti avvenuti nella politica interna ed estera dell’Italia da dopo le ultime elezioni legislative, svoltesi il 25 settembre 2022, in seguito alle quali si è costituito il governo guidato da Giorgia Meloni, sostenuto da una coalizione di centro-destra.

La Monografia, inoltre, ha indagato le origini dell’atlantismo e dell’europeismo italiani e la loro evoluzione, ed evidenziato le strategie dell’Italia nella regione indo-pacifica e verso il Medio Oriente, le peculiarità del multilateralismo italiano, il “soft power” e la diplomazia culturale. Il Rapporto ha anche affrontato il tema delle politiche migratorie dell’Italia, nonché quello della copertura dei media italiani sul tema della Russia in particolare in seguito allo scoppio del conflitto russo- ucraino.

Vediamo in sintesi il contenuto di questo Studio che ci restituisce una visione davvero unica, da un diverso punto di vista, sul nostro Paese.

1. Il nuovo sistema dei partiti in Italia nel dopoguerra

Il Rapporto IE RAS prima di analizzare il primo anno e mezzo di governo Meloni traccia una accurata contestualizzazione dello scenario politico determinatosi in occasione delle elezioni politiche del 2022, presentato come una sorta di epilogo della stagione del bipolarismo all’italiana iniziata nel 1994, considerata, a sua volta come periodo successivo alla prima fase della storia dell’Italia repubblicana, coincisa con gli anni della cosiddetta “prima repubblica” (espressione giornalistica coniata solo all’inizio degli anni novanta in relazione alla “seconda repubblica” con la quale si intende la fase successiva della storia della Repubblica Italiana che nel 2026 raggiungerà il suo ottantesimo anno di storia).

La chiave di lettura adottata dai ricercatori russi è la seguente. I partiti che sono componenti essenziali di qualsiasi sistema politico, lo sono particolarmente per il sistema politico italiano poiché sono stati i cambiamenti nel sistema dei partiti, dettati prevalentemente dalle ripercussioni interne dei grandi cambiamenti di scenario internazionale, a definire le pietre miliari della storia moderna dell’Italia.

Così successe nella prima fase della storia della Repubblica, quella che va dal 2 giugno 1946 al 1993. Il rovinoso crollo della dittatura fascista, infatti, non fece arretrare il sistema partitico a quello dell’Italia pre-fascista, “ma ne creò uno nuovo che rifletteva gli equilibri di potere emersi durante la Resistenza2.

Il ritorno al vecchio sistema politico liberale risultò impossibile anche perché quella classe dirigente appariva screditata per le sue responsabilità (verso gli italiani e verso la comunità internazionale) nell’aver portato l’Italia nella Prima Guerra Mondiale, i cui costi umani e sociali nel difficile dopoguerra finirono per fungere da carburante all’ascesa al potere del regime fascista. Il Rapporto non omette di ricordare che, come esponente dell’ala filo-britannica del vecchio establishment liberale, il “ministro degli Esteri Sidney Sonnino: fu lui, insieme al primo ministro Antonio Salandra, a trascinare l’Italia nella Prima Guerra Mondiale nel maggio 1915 dalla parte dell’Inghilterra e dell’Intesa. Il trauma profondo inflitto a un Paese ancora non consolidato dopo l’unificazione del 1861 contribuì alla caduta del governo liberale nel 1922 e all’instaurazione della lunga dittatura fascista3.

I nuovi equilibri politici maturati dalla lotta di Liberazione e dai risultati del voto per l’Assemblea Costituente imposero la ricerca del compromesso nell’edificazione del nuovo stato a forma di governo repubblicana, decisa dal referendum del 2 giugno 1946 che pose fine a 85 anni di monarchia della dinastia Savoia.

Il luogo di questo compromesso fu l’Assemblea Costituente, eletta lo stesso giorno del referendum istituzionale, che elaborò, con il contributo di tutti i partiti che avevano fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale, la Carta costituzionale entrata in vigore nel 1948. Il compromesso maggiore fu senz’altro quello operato fra la sinistra social-comunista e il centro rappresentato in larghissima misura dal partito della Democrazia Cristiana.

Se è vero, come osserva il Rapporto, che i partiti ebbero allora il grande merito di saper sfruttare l’occasione storica per occupare saldamente e stabilmente, per tutto il periodo della guerra fredda, “il posto di architetti della nuova Italia4, probabilmente, si potrebbe osservare, anche l’attenzione discreta sulle vicende italiane dei protagonisti della scena internazionale di quel tempo, in particolare di quelli alla Casa Bianca, al Cremlino e in Vaticano, contribuì in modo altrettanto determinante al buon esito di quella mediazione. A sostegno di questa tesi troviamo nel Rapporto l’indicazione che già nel 1945 le relazioni diplomatiche tra URSS e Italia furono ristabilite, con la riapertura delle ambasciate, che iniziarono a operare intensamente a Roma e Mosca. A Roma, l’ambasciatore sovietico fu M.A. Kostylev, a Mosca P. Quaroni5. “L’intenso scambio di messaggi diplomatici tra i leader dell’URSS e dell’Italia (documenti ancora inediti) dimostra che i rapporti tra i due Paesi erano allora cordiali e collaborativi6. Non solo nella forma ma soprattutto nella sostanza. Perché uno scenario postbellico caratterizzato da un enorme bisogno di beni essenziali per la popolazione “avrebbe potuto portare a una ‘sovietizzazione’ anziché all’’americanizzazione’ della vita italiana (con il sostegno delle forze di sinistra, allora molto popolari, tra cui Pci e Psi)7, a seconda della parte da cui fossero arrivati gli aiuti, dagli Usa o dall’Urss.

Grazie a un buon grado di moderazione dimostrato da Iosif Stalin per l’Urss e da Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano – che verosimilmente pagò questo atteggiamento responsabile e patriottico con l’attentato del 14 luglio (14 Juillet) 1948, a cui miracolosamente sopravvisse – accompagnata da una silenziosa quanto efficace opera di mediazione della Santa Sede sotto il pontificato di Papa Pio XII, la transizione dell’Italia nel campo occidentale avvenne in modo sostanzialmente non traumatico.

Stalin, puntualizza lo Studio dell’IE, “e la leadership sovietica rispettarono scrupolosamente gli accordi di Yalta del febbraio 1945 sulla divisione delle zone d’influenza in Europa, che assegnavano l’Italia e la Grecia alla sfera occidentale. Non a caso, il ministro degli Esteri sovietico Molotov dichiarò durante una conferenza a Londra che l’Urss non desiderava che l’Italia seguisse il percorso della Grecia, dove infuriava la guerra civile8.

In questo clima, che con un’espressione pur non perfetta, si potrebbe definire come di compromesso fra cattolici e comunisti, poté generarsi il caso unico in Occidente, rappresentato dall’Italia, di una democrazia in cui i principi del liberalismo economico trovarono una composizione con i principi e i valori del solidarismo e del personalismo. Venne sancito il primato costituzionale della persona umana sullo stato non solo contro ogni forma di deriva totalitaria, come quelle che l’Europa ha conosciuto soprattutto nella prima metà del XX secolo, ma anche rispetto al libero mercato. Un assetto costituzionale, e un sistema economico misto, pubblico-privato, di carattere se non propriamente socialista, almeno fortemente socialdemocratico, che, come giustamente (a nostro avviso) osserva il Rapporto, resse fin quando durò il sistema dei partiti uscito dalla Resistenza, i quali “hanno continuato a svolgere un ruolo guida nella vita del Paese e dei suoi cittadini per tutto il periodo della guerra fredda9”.

In questa prospettiva si trovano già le premesse per comprendere il senso del brusco passaggio dalla prima alla seconda repubblica.

2. Origini e senso dell’europeismo e dell’atlantismo (e neoatlantismo) in Italia

Ma prima di arrivarci, vediamo altre interessanti analisi sull’Italia, contenute nel Rapporto IE RAS sulle origini e sul senso dell’atlantismo e dell’europeismo dell’Italia10. Si muove dalla convinzione che “per comprendere meglio lo sviluppo storico del Paese e la sua attuale posizione, inclusi gli aspetti della politica estera odierna, è necessario tornare al periodo chiave in cui tutto ebbe inizio, ovvero il 1945-194811. Un periodo nel quale “l’americanizzazione della vita italiana […] investì ogni aspetto della società: politica, economia, sfera sociale e cultura”. E che fece diventare di moda fra gli italiani l’imitazione dello stile di vita americano, così ben rappresentata con venatura satirica nel divertente film “Un americano a Roma” del 1954, diretto da Steno ed interpretato dall’indimenticabile Alberto Sordi. Una matrice di “democratizzazione” all’americana, e non all’inglese – sebbene vi fossero molti filo-britannici collocati in posizioni chiave nella politica, nell’apparato dello stato, nella cultura e nell’informazione italiani – sostituì il vecchio establishment di epoca fascista.

Mentre in Italia si intende la scelta atlantista come frutto di un ampio ed aspro dibattito interno, culminato il 27 marzo 1949 con il voto al Senato favorevole all’ingresso dell’Italia nel Patto atlantico come Paese fondatore, dopo quello incassato dal V governo De Gasperi alla Camera dei Deputati il 18 marzo 1949, gli Autori del cap IV del Rapporto espongono elementi a favore della tesi che l’atlantismo fosse stato in qualche modo agevolato da un generale processo di “americanizzazione” del Paese12.

In ogni caso, la scelta atlantista viene interpretata in questa Monografia come rinuncia per l’Italia “ad una politica estera pienamente autonoma13. Tuttavia ci pare risulti quasi ingeneroso il giudizio dell’ambasciatore Sergio Romano, citato nello Studio, secondo cui “l’Italia è l’unico Paese europeo che ha sistematicamente mancato tutte le opportunità di avanzare nella gerarchia mondiale durante la ricostruzione postbellica14.

In realtà l’Italia seppe, pur con risultati altalenanti, ritagliarsi una propria autonomia in seno all’Alleanza atlantica tanto che già verso la metà degli anni 50 si parlò di “neo-atlantismo” in riferimento all’iniziativa internazionale del sistema-Paese nel suo complesso, in ambito politico, economico e culturale, che ebbe fra i suoi maggiori ispiratori il presidente del Consiglio Amintore Fanfani, il fondatore dell’Eni, la compagnia energetica nazionale, Enrico Mattei, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira e Giovanni Gronchi che fu il terzo presidente della Repubblica italiana. Questo nuovo atlantismo consentì all’Italia di sviluppare progetti di vario genere in tre direzioni principali: il Mediterraneo e mondo arabo, i Paesi in corso di de-colonizzazione del Sud del Mondo e, in certa misura, la Russia e l’Est europeo. L’area mediterranea, come riconosce il Rapporto, ha costituito per l’Italia, dal dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino (periodo coincidente con la prima repubblica nella storia interna), una direttrice fondamentale. E continua ad esserlo nel presente.

Fanfani, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, nel 1958 dichiara alla Fiera di Bari: «Sia come storico, sia come capo del governo, non posso dimenticare che l’Italia era doppiamente grande quando era consapevole della sua funzione di ponte tra l’Europa e i Paesi del Mediterraneo. L’Italia ha ritrovato oggi questa consapevolezza in un’atmosfera di libertà e di pace»15. Il tentativo italiano di avvicinare le due sponde del Mediterraneo fu agevolato dal nuovo sistema di relazioni economiche “paritario” che Enrico Mattei aveva instaurato con successo con alcuni Paesi arabi produttori di petrolio e gas, improntato all’equità e alla logica win-win. In questo senso, è possibile considerare Mattei come un fautore ante litteram, un anticipatore nel tempo, degli obiettivi e della logica di ricerca del reciproco vantaggio, che 50 anni dopo di lui animeranno la visione e le relazioni fra i Paesi aderenti al Coordinamento BRICS. Un ardire che portò un certo scompiglio nel mercato energetico di quegli anni e che nel 1962 costò a Mattei una “morte misteriosa16.

Ma che permise all’Italia (e veniamo alla seconda direttrice del neo-atlantismo) di rispondere all’asse delle potenze coloniali, Regno Unito e Francia alle prese con la decolonizzazione, con una iniziativa rivolta ai Paesi in Via di Sviluppo, presentandosi loro come il volto post-coloniale dell’Occidente, aperto alle istanze dei nuovi Stati che stavano riottenendo la loro indipendenza, anche in funzione di contenimento dell’influenza esercitata dall’Unione Sovietica verso quello che allora veniva definito il Terzo Mondo. Una capacità italiana di attrazione verso il Sud del Mondo che si avvalse anche del ruolo assunto dall’Italia alle Nazioni Unite a cui era stata ammessa solo nel 1955 in seguito al ritiro del veto che l’Urss aveva posto sino ad allora.

La terza direttrice del neo-atlantismo italiano è costituita dal dialogo con i Paesi oltrecortina, in particolare con l’Unione Sovietica. Come ricorda il Rapporto, “negli anni ’60-’70, l’Italia cercò di bilanciare la sua posizione tra i due blocchi, avviando – a partire dalla visita del presidente Gronchi a Mosca nel febbraio 1960 – rapporti economici amichevoli con l’Unione Sovietica. La costruzione dello stabilimento automobilistico Fiat a Togliattigrad (allora Stavropol’), che ancora oggi produce le auto Lada, rappresentò un brillante esempio di cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa17. Inoltre, aggiunge il Rapporto, “si ritiene che durante i governi di Aldo Moro (1963–1964, 1964–1966, 1966–1968, 1974–1976, 1976), l’Italia abbia cercato di condurre una politica estera più autonoma, senza però discostarsi dalle linee guida tracciate dai governi precedenti. Sotto la guida di Moro, negli anni ’70 l’Italia stipulò una serie di accordi bilaterali con i Paesi del blocco socialista (il Trattato sulle forniture di gas con l’Urss del 1969, gli Accordi di Osimo con la Jugoslavia nel 1975), volti a superare la logica dei blocchi e a favorire l’integrazione paneuropea e multilaterale18. L’autonomia che l’Italia seppe esercitare nei rapporti con il blocco sovietico19 diede un contributo importante alla stagione della distensione nei rapporti Est-Ovest, che sarebbe poi culminata, a metà degli anni 70 negli Accordi di Helsinki.

Il Rapporto IE RAS individua nell’europeismo l’altra grande direttrice della politica estera italiana, proponendo prevalentemente la lettura che dell’origine di questo processo ne ha dato Sergio Romano. Una lettura, quella di Romano, a nostro avviso minimalista e utilitarista, come se l’Italia fosse salita sul treno europeo solo per convenienza e per conformismo. Non fu solo per questo. Per gran parte della nuova classe dirigente italiana l’integrazione europea fu vista come un grande obiettivo strategico, un traguardo storico, un radicale antidoto allo scoppio di future guerre civili europee. E infatti il Rapporto cita20 la nascita del Movimento Federalista Europeo, avvenuta a Milano nel 1943 e il “Manifesto di Ventotene” redatto nel 1941 da antifascisti come Colorni, Rossi e Spinelli. Entrambe le iniziative diedero impulso all’europeismo in Italia. Ma fu soprattutto la nuova classe dirigente democristiana a rendere l’europeismo uno dei pilastri fondamentali della politica estera italiana, forte di una elaborazione progettuale che diversi giovani dirigenti di punta della Dc avevano compiuto sin dagli anni della dittatura fascista e durante la guerra, per definire una nuova architettura politica e sociale da costruire una volta che fosse finita la guerra. In particolare fu il “Codice di Camaldoli”, un documento redatto nell’omonimo eremo toscano dal 18 al 24 luglio 1943, a dettare le linee di questo progetto di società che abbracciava i diritti inviolabili della persona umana, una concezione non assolutistica dello stato, una visione ispirata alla sussidiarietà della società, che valorizza i corpi intermedi a cominciare dalla centralità della famiglia, l’economia con il giusto equilibrio fra stato e mercato, e le relazioni internazionali. Da questo fondamentale documento, pur non avente direttamente come oggetto l’Europa, i maggiori esponenti della Dc21 trassero spunto ed ispirazione sia nel modellare la Costituzione durante i lavori dell’Assemblea Costituente, sia per impostare su basi completamente nuove le relazioni fra gli Stati europei. Il ruolo maggiore nel dare impulso all’europeismo in Italia lo esercitò il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, considerato, insieme al cancelliere tedesco Konrad Adenauer e al ministro degli esteri francese Robert Schuman, uno dei padri dell’integrazione europea.

3. Una metamorfosi di sistema denominata “seconda repubblica”

Fedele alla sua linea interpretativa, lo Studio IE RAS intravede anche nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica un processo simile a quello che aveva caratterizzato il passaggio dal regime fascista alla democrazia parlamentare nei terribili anni della guerra civile italiana e di un immediato dopoguerra fatto di indicibile povertà per la stragrande maggioranza della popolazione.

La similitudine si limita solo al fatto che così come dopo la parentesi fascista non si tornò al sistema politico del vecchio stato liberale ma se ne creò uno nuovo, anche l’avvento della seconda repubblica “ha segnato il passaggio dalla vecchia generazione di partiti del dopoguerra, legati all’ideologia, a una nuova generazione di partiti che scelgono pragmatismo e flessibilità22”. Anche agli inizi degli anni ‘90 “i partiti che hanno formato il nuovo sistema, erano radicalmente diversi dai partiti del periodo precedente. Erano caratterizzati da tratti comuni come l’alto grado di personalizzazione (associazione del partito con il suo leader, e non con l’ideologia), la semplificazione del linguaggio della comunicazione, la maggiore flessibilità nei programmi e nelle politiche a causa della mancanza di legami con l’ideologia23. Ed anche questo nuovo cambio di sistema politico dei primi anni ‘90 fu causata, in ultima analisi, da cambiamenti di scenario “che si sono sviluppati sulla scena internazionale alla fine degli anni ’80 – inizio anni ’90. Il crollo del sistema bipolare delle relazioni internazionali, e con esso dell’ideologia comunista24.

Sin qui la chiave interpretativa degli studiosi russi coglie alla perfezione il senso del cambio di sistema politico, causato dal terremoto politico seguito alle indagini giudiziarie e noto giornalisticamente come “tangentopoli”. Suscita invece, qualche perplessità, a nostro avviso, l’affermazione che “negli anni ’90, l’Italia si è rigenerata e rinnovata, dicendo addio alla partitocrazia e imboccando la strada della personalizzazione25. All’implosione dei vecchi partiti della prima repubblica, ramificati nei territori, capaci, pur con i loro evidenti limiti, di ampia rappresentanza e di offrire percorsi di formazione politica e di partecipazione a tutti i cittadini che lo desiderassero, non è generalmente corrisposto l’emergere di partiti migliori ma anzi si sono affermati partiti leaderistici, con debole democrazia interna e perlopiù con un culto autocratico del capo di turno, autoreferenziali e scollegati dal tessuto sociale e territoriale del Paese. E soprattutto, mentre il passaggio dalla caduta del fascismo alla democrazia e alla repubblica, ha significato un inimmaginabile miglioramento delle condizioni dell’Italia sotto tutti i punti di vista, il passaggio dalla prima alla seconda repubblica ha provocato – è bene ricordarlo – uno strutturale indebolimento del sistema economico italiano, lo smantellamento e la liquidazione dei grandi poli industriali pubblici (dalla chimica, al settore metalmeccanico, dal settore creditizio a quello agroalimentare, a quello energetico, delle telecomunicazioni, dei trasporti, e l’elenco è molto lungo) che fecero grande economicamente l’Italia alla fine dello scorso secolo. Ha significato una colossale svendita di assets pubblici in favore di Paesi alleati, qualcuno anche confinante con l’Italia e qualcun altro senza confini terrestri perché insulare. Un collasso – che appare non senza similitudini, sotto l’aspetto dell’assalto straniero ai “gioielli” di stato, con il tumultuoso passaggio dall’Urss alla Federazione Russa dell’epoca di Boris Eltsin – dal quale l’Italia faticosamente, a partire dal governo guidato da Mario Draghi, sta cercando di riprendersi, riguadagnando i margini di manovra perduti in quasi tutti i settori. E per la società italiana tale passaggio ha significato un indebolimento della capacità di risparmio e di impresa, un esponenziale aumento delle disuguaglianze sociali e una strutturale riduzione dello stato sociale, dalla sanità, – formalmente gratuita e universale, ma di fatto in gran parte a pagamento per ottenere prestazioni tempestive e adeguate – alle pensioni. Sul sistema previdenziale, la riforma Dini del 1995 (dal nome del presidente del Consiglio Lamberto Dini) e successive modifiche, ha introdotto uno fra i sistemi di calcolo più rigorosi e più portatori di disuguaglianze al mondo, quello contributivo, paragonabile solo a quello del Cile, noto laboratorio di politiche ultraliberiste. Gli effetti di questa riforma, accettata dagli italiani, senza le proteste dei nostri “cugini” francesi, sebbene la loro riforma previdenziale fosse molto più socialmente sostenibile di quella italiana, si vedranno a scoppio ritardato. Allorquando tutte le pensioni saranno erogate con il suddetto nuovo sistema di calcolo, il welfare familiare, la capacità delle famiglie di sopperire alle necessità dei propri membri, anche grazie a pensioni decenti dei loro membri anziani, verrà messo seriamente in crisi.

A nostro giudizio, questo cambio di sistema, da un modello solidaristico, di compromesso fra stato e mercato, a un assetto di fatto neoliberale (nonostante la struttura della Costituzione, che implica il primo modello, sia rimasta immutata) è stato tra i fattori più importanti nell’alimentare la parabola populista che l’Italia ha conosciuto negli ultimi trent’anni.

4. Il trasformismo del populismo italiano: conseguenze per il sistema politico

E proprio sull’analisi del populismo nostrano, un’analisi rigorosa e senza sconti verso questi movimenti dell’antipolitica, lo Studio russo offre la lettura che non ti aspetti, dimostrando oltre a un oggettivo rigore scientifico, in linea con la secolare storia dell’Accademia Russa delle Scienze, un distacco e una indipendenza da ogni forma contingente di propaganda, nel senso che questa Monografia contrasta con l’idea propalata dal mainstream occidentale secondo cui la Russia abbia solo un atteggiamento strumentale verso i movimenti populisti presenti nel vari Paesi dell’Ovest.

La questione che pone il Rapporto sull’Italia IE RAS 2024 è la seguente: rispetto all’esito delle elezioni parlamentari del 2022 e all’effettivo orientamento dimostrato nei fatti dal governo Meloni, diverso dal programma presentato agli elettori, quali sono le conseguenze che ne derivano per lunga stagione del populismo in Italia e, più in generale, per il sistema politico italiano? Le conclusioni, esposte nel cap. 2 del Rapporto, si basano su una lettura del fenomeno del populismo in Italia, su cui era incentrato il precedente Rapporto IE RAS sull’Italia, quello del 202326, che risulta opportuno richiamare in estrema sintesi.

In questo studio del 2023, rispetto all’ondata di populismo e antipolitica, che ha interessato l’Europa in questo primo quarto di secolo, l’Italia viene considerata ancora come “laboratorio politico” per il Vecchio Continente, secondo la definizione che già nel 1977 ne aveva dato Eric Hobsbawm. Viene presentata una divisione in tre fasi del populismo nel trentennio 1994-2023 della seconda repubblica.

La prima fase è quella iniziata nel 1994 con l’avvento al potere di Silvio Berlusconi. “primo populista27”, che seppe far convergere la profonda crisi di fiducia tra gli elettori, generata dall’uso giornalistico e politico di vicende giudiziarie, non verso i partiti accreditati di vincere le elezioni perché “risparmiati” dalle inchieste, bensì verso il movimento da lui da poco tempo fondato, Forza Italia. Questa prima fase è stata caratterizzata dall’emergere di una struttura bipolare del sistema partitico, incentrata su due poli: il centrodestra e il centrosinistra. Ed è durata per quasi un ventennio, fino alle dimissioni del quarto governo Berlusconi nel 2011. In questo periodo si sono svolte altre 4 elezioni politiche, dopo quelle del 1994, e ogni volta le elezioni sono state vinte dal polo che era all’opposizione.

La seconda fase della stagione populista viene identificata nel periodo fra il 2011 e il 2018 in cui, a causa dell’exploit del Movimento Cinque Stelle alle elezioni del 2013, divenuto allora un terzo polo autonomo, il precedente bipolarismo conobbe una pausa in favore di “larghe intese” fra centrodestra e centrosinistra a sostegno dei tre governi tecnici che si sono susseguiti durante quella legislatura, guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni Silveri.

La terza fase è quella del populismo al potere, iniziata con la vittoria del Movimento Cinque Stelle (M5S) alle elezioni del 2018, il susseguirsi di tre governi Conte 1, Conte 2 e Draghi con il M5S al governo, seppur ogni volta con maggioranze diverse, ed arriva fino alla vittoria del partito Fratelli d’Italia alle elezioni del 2022, un altro partito populista, almeno fino a prima di aver vinto le elezioni.

Il Rapporto IE RAS 2024, analizzando il trasformismo del populismo italiano alla luce delle scelte concrete in politica estera, intra-UE e interna del primo anno e mezzo del governo Meloni, prova a dare una risposta alla questione delineata in conclusione del Rapporto precedente sull’Italia, quello 2023. Ovvero, quali conseguenze produca sul sistema politico italiano e sulla fiducia e sul comportamento elettorale dei cittadini la metamorfosi dei partiti populisti nel loro passaggio dall’opposizione al governo.

La conclusione a cui arriva lo Studio è che “il panorama politico non sembra avviato verso la stabilizzazione. Al contrario, le tendenze chiave sono: crescente volatilità elettorale, trasformismo ideologico e de-istituzionalizzazione, fattori che destabilizzano il sistema28, nonostante la fase successiva alle elezioni del 2022 sembri avviata a un ritorno del bipolarismo centrodestra – centrosinistra, diverso però da quello avutosi dal 1994 al 2011. Il Rapporto interpreta con le categorie “exit” e “voice” di Albert Hirschman29 il comportamento elettorale degli italiani alle elezioni del 2022. Cala l’affluenza alle urne, nel 2022 ha toccato il record negativo del 63,9% (exit) e aumentano i consensi alle formazioni populiste (voice), in particolare a quelle, come Fratelli d’Italia, che non erano mai state al governo prima.

Tutt’altro che indulgente appare il giudizio dello Studio russo sui populisti nostrani: “Oggi vediamo che i partiti populisti, che avevano fatto della protesta contro l’establishment il loro marchio di fabbrica (soprattutto M5S e Lega) e grazie a questo avevano ottenuto un grande successo nel 2018, hanno pagato un prezzo alto per la loro successiva partecipazione ai governi (Conte I, Conte II e Draghi). […] i due principali partiti populisti sono passati dall’opposizione al governo, diventando vittime della spirale di protesta che loro stessi avevano contribuito a creare”.30 Ma anche il partito di Giorgia Meloni non è indenne dalla critica del Rapporto IE RAS. Pure a Fratelli d’Italia viene imputato il trasformismo, il cambio di linea fra quanto sostenuto prima delle elezioni del 2022 e gli effettivi orientamenti del governo Meloni, i quali hanno dimostrato che “non c’è un aumento della polarizzazione tra destra e sinistra, ma uno spostamento della coalizione di destra verso il centro. Questa dinamica è evidente nelle scelte politiche concrete del governo, sia in ambito interno che estero31.

Quanto al trasformismo ideologico del populismo di destra nella sua dimensione estera il Rapporto ricorda come non sia stato facile per il governo Meloni guadagnarsi la fiducia di Washington e Bruxelles, viste le radici ideologiche di Fratelli d’Italia. Questo processo di allineamento di Fratelli d’Italia su due dei principali pilastri della politica estera italiana, l’europeismo e l’atlantismo – già iniziato informalmente prima delle elezioni del 2022, e per quanto riguarda il sostegno incondizionato alle posizioni di USA, Regno Unito e UE sull’Ucraina, espresso anche pubblicamente prima del voto – si è sviluppato ulteriormente in seguito all’esito delle elezioni europee del 2024 e delle elezioni americane dello stesso anno, eventi successivi all’arco temporale esaminato dal Rapporto IE RAS. La famiglia politica europea cui aderisce Fratelli d’Italia, l’ECR, Conservatori e Riformisti Europei, pur non avendo sostenuto la riconferma di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea, ha coltivato buone relazioni con i vertici UE, che hanno consentito a Giorgia Meloni di avere un rapporto reciprocamente proficuo, espressosi anche attraverso la nomina di Raffaele Fitto, appartenente al partito della Meloni ma di cultura politica democristiana e gradito a gran parte del gruppo PPE (Partito Popolare Europeo), a vice presidente esecutivo della Commissione Europea. Tutto ciò fa parte di una strategia europea di Giorgia Meloni, molto ambiziosa, volta a “creare un nazionalismo paneuropeo32 per l’affermazione di un’Europa delle nazioni. Tale obiettivo viene perseguito cercando di modificare “le stesse basi politico-partitiche dell’UE – costruite sul tradizionale consenso europeo tra democristiani, socialdemocratici e liberali – in un’alleanza tra il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (dove siedono i suoi Fratelli d’Italia) e il Partito Popolare Europeo33. Un cambiamento di alleanze a cui però sono mancati i numeri per attuarlo dopo le elezioni europee del 2024. Tuttavia, a differenza dei nazionalisti duri e puri, critici con Bruxelles e Washington, la Meloni ha compreso che “senza il sostegno di entrambe le sponde dell’Atlantico non avrebbe alcuna possibilità di raggiungere i suoi obiettivi strategici34.

Questo spiega anche, secondo il Rapporto IE RAS, il fatto che la Meloni abbia “reso le relazioni con gli USA l’anello principale della politica estera italiana. Attraverso stretti rapporti con Washington ha deciso di rafforzare la sua posizione a Bruxelles, guadagnandosi la reputazione di atlantista europea e continuatrice delle riforme liberali di Mario Draghi35. Una relazione che già era buona con l’America di Biden, e che sta diventando ancor più stretta con l’America di Trump nonostante le oggettive difficoltà costituite dalla guerra dei dazi, scatenata da quest’ultimo. E la nuova linea degli Stati Uniti con il ritorno al potere di Donald Trump, potrebbe avere delle ripercussioni anche sulla linea, ferma ma non ostile, del governo Meloni sulla Russia, di cui è un segnale l’indisponibilità di Roma a partecipare al piano anglo-francese per il dispiegamento di truppe in Ucraina. Peraltro, appare comprensibile che, visto da Mosca, uno degli aspetti più sorprendenti del trasformismo della Meloni sia costituito proprio dal “brusco cambiamento avvenuto nella politica estera di Giorgia Meloni dopo la sua nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri italiano. Da euroscettica dichiarata e antiglobalista all’opposizione, sostenitrice di Vladimir Putin come leader forte che difende i valori tradizionali, contraria alle sanzioni anti-russe dopo l’annessione della Crimea nel 2014, ha completamente cambiato orientamento politico una volta giunta al potere36.

A proposito di quanto le relazioni italo-cinesi possano essere influenzate dallo stretto rapporto del governo di Giorgia Meloni con gli Stati Uniti che attualmente sono in guerra commerciale con il Dragone, il Rapporto IE RAS osserva acutamente: “trasformare le difficoltà in vantaggi è uno stile tipico della sua [di Giorgia Meloni, ndr.] leadership37. E infatti l’uscita dell’Italia nel 2023 dalla Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) non ha significato una crisi nelle relazioni bilaterali, al contrario ha creato i presupposti per rendere le relazioni tra Roma e Pechino ancor più reciprocamente vantaggiose ed amichevoli, tramite il rinnovo nel 2024 del Partenariato Strategico Globale Italia-Cina, che ha costituito una scelta per il dialogo “rafforzata dalla visita del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Cina a fine luglio 2024, nell’anno del ventennale del Partenariato Strategico Globale fra Italia e Cina e del 700° anniversario della scomparsa di Marco Polo, e suggellata dalla visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella Repubblica Popolare Cinese dal 6 al 12 novembre 202438.

Anche esercitando la presidenza di turno del G7 nel 2024 l’Italia ha colto l’occasione per contribuire alla concordia e all’armonia globale e il governo Meloni ha sostenuto in sede G7 la necessità di costruire un nuovo ordine mondiale multilaterale nel quadro ONU. “Perché, come ha dichiarato alla stampa il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in occasione della riunione ministeriale del G7 sulla Difesa, svoltasi a Napoli nel settembre 2024, ‘Non basta il G7, non basta la Nato, non basta più per nessuna crisi del mondo un gruppo di Paesi’, alludendo anche ai BRICS. ‘Non si esce da nessuna delle crisi che stiamo vivendo’, ha proseguito il ministro, ‘senza un grandissimo impegno internazionale che coinvolga più Paesi possibili’. Per l’Italia ciò che serve è l’opposto della logica dei blocchi contrapposti39.

Dichiarazioni di questo tenore esprimono una cultura del multilateralismo che ha sempre orientato la classe politica dell’Italia repubblicana, e che il Rapporto indaga in modo approfondito (cap. 7). Nel dopoguerra, i primi ministri e gli alti funzionari della Repubblica Italiana hanno seguito il principio del multilateralismo in politica estera, anche se il termine stesso è apparso molto più tardi. L’Istituto di ricerche moscovita svela una cosa poco nota anche agli “addetti ai lavori” della politica italiana. Fu Giulio Andreotti a introdurre per primo il concetto di multilateralismo nel dibattito politico internazionale, prima che se ne occupassero i politologi. Lo fece “nel 1988 durante un intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” in qualità allora di ministro degli esteri, mentre “l’interpretazione scientifica del concetto di ‘multilateralismo’ è stata sviluppata da Robert Keohane e John Ruggie solo negli anni ’9040. Tra gli statisti italiani che più si sono ispirati al multilateralismo, anche ante litteram, il Rapporto IE RAS cita Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Bettino Craxi, Romano Prodi, Mario Draghi insieme naturalmente al padre di questo termine, Giulio Andreotti. A giudizio dei ricercatori russi, il multilateralismo “è sempre stato un principio fondamentale della politica estera italiana41” ed “è uno strumento importante per promuovere la posizione dell’Italia nella comunità globale42” e in ambito Onu soprattutto riguardo a sicurezza internazionale (nelle operazioni di peacekeeping l’Italia nel 2023 è il primo Paese in Europa e tra le nazioni sviluppate al mondo per numero di caschi blu schierati43) migrazioni, diritti umani e sviluppo sostenibile. In virtù di questo attivo sostegno al multilateralismo si può persino giungere a dire che “l’Italia è una media potenza con interessi globali44, la cui “arma” principale è costituita dal soft power45 del quale “la cultura è l’asset più forte”. La concentrazione in Italia del 40% del patrimonio culturale UNESCO, la fanno percepire come “una ‘superpotenza culturale’: un Paese di storia, arte, civiltà e bellezza46. Ciò spiega anche il motivo per cui il Rapporto (cap. 9) dedichi tanta attenzione alla politica culturale italiana come strumento di diplomazia.

Altri dossier di politica estera, indicati dal Rapporto come prove dello spostamento al centro del governo Meloni, riguardano il Mediterraneo e l’immigrazione.

Il governo Meloni “prosegue la linea di Mario Draghi nell’intensificare la cooperazione con i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa sugli approvvigionamenti energetici47 e ne continua il Piano Mattei per l’Africa con un approccio non predatorio e di reciproco vantaggio con i Paesi africani. Un approccio, quello italiano, simile a quello intercorrente fra i Paesi Brics, si potrebbe osservare, soprattutto alla luce del fatto che l’ambito della proiezione internazionale dell’Italia non è storicamente privo di relazioni con l’ambiente geostrategico confinante con il “Mediterraneo allargato”, ovvero con l’Indo-Pacifico. Il Rapporto IE RAS (cap.6) dedica una dettagliata analisi all’iniziativa italiana nella regione, vista l’importanza, ribadita dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, “di approfondire le relazioni con paesi strategici nella regione48 indo-pacifica. L’azione italiana nel quadrante indo-pacifico presenta un carattere inclusivo, come ha sottolineato la Sottosegretaria agli Esteri Maria Tripodi, “basato sulla collaborazione con tutti gli attori, tra cui organizzazioni regionali come ASEAN, il Pacific Islands Forum e l’Indian Ocean Rim Association49” (IORA), l’associazione dei Paesi rivieraschi dell’Oceano Indiano. E, naturalmente con l’India, fra i Paesi fondatori dei Brics, con cui l’Italia (e l’UE) condivide, fra le altre cose, l’interesse per il progetto di corridoio economico India – Medio Oriente – Europa, (IMEC India–Middle East–Europe Economic Corridor).

Anche le politiche migratorie rivelano un certo “distacco della coalizione di destra dall’approccio sovranista e unilaterale del passato (esemplificato dalle politiche dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini nel 2018-19). Meloni, al contrario, insiste sulla necessità del multilateralismo50 e di una azione collettiva dell’UE per stipulare accordi e potenziare la cooperazione economica con i Paesi di origine, sebbene, come spiega in dettaglio il cap.8 della Ricerca, non sia facile raggiungere tali obiettivi a causa delle divisioni in tema di politiche sull’immigrazione fra i Paesi membri Ue.

Secondo l’équipe di studiosi russi il trasformismo della destra italiana una volta giunta al governo, è riscontrabile anche nella politica interna. In particolare, lo si vede dal tema delle riforme istituzionali, nel quale prevale la prudenza sulle due riforme presentate dal governo Meloni, quella riguardante il premierato e quella sull’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni. Il “modello di ‘premierato’, proposto in alternativa al modello presidenziale previsto in precedenza nei documenti programmatici dei partiti della coalizione di destra, riflette la volontà di trovare un compromesso con quelle forze politiche e sociali che non hanno mai condiviso l’idea di abbandonare il classico modello parlamentare51. Sull’abbandono da parte della destra del progetto iniziale del presidenzialismo ha inciso il fatto che, sottolineano gli studiosi russi, “intorno alla figura di Sergio Mattarella si è consolidato un solido consenso nella società: tra tutte le istituzioni politiche, la presidenza della Repubblica gode da tempo della maggiore fiducia dei cittadini52”.

Non va dimenticato, tra l’altro, che in due ruoli chiave nel governo Meloni, vi sono personalità come il già citato Guido Crosetto, politico di formazione democristiana, con un passato nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana, ministro della Difesa e “Giancarlo Giorgetti, legato agli ambienti imprenditoriali filoeuropei del Nord e considerato erede della linea Draghi, ministro dell’Economia53, la cui unica concessione al fronte sovranista, ma probabilmente anche all’interesse nazionale, è stata quella di dire no al MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità.

Il bilancio di questo trasformismo della destra, rispetto ai suoi precedenti programmi, o in termini positivi, di spostamento verso il centro, è formulato nel seguente modo: ”le misure puntuali nell’ambito dell’ordine pubblico, della difesa dei valori tradizionali e dell’agenda conservatrice sono state le uniche a corrispondere all’ideologia della coalizione di destra prima del suo arrivo al governo. Per il resto, il governo Meloni ha agito con estrema cautela, evitando conflitti con l’opposizione e l’opinione pubblica progressista, e ha mantenuto una linea di continuità con il governo di Mario Draghi54.

Secondo il Rapporto IE RAS il primo anno di governo della coalizione guidata da Giorgia Meloni ha rivelato una realtà complessa: da un lato, il sistema politico italiano rimane instabile, con un elettorato volatile e sempre più disilluso; dall’altro, la stessa coalizione di destra ha mostrato una tendenza al moderatismo e all’allineamento con le politiche europee e atlantiche. Questa tendenza al trasformismo, che ci pare confermata anche in tutto il 2024 e nel primo trimestre 2025, se da un lato ha permesso alla Meloni di consolidare la sua posizione sulla scena internazionale, dall’altro rischia di alienare parte della sua base elettorale più radicale. La sfida per il futuro sarà bilanciare queste tensioni mantenendo al tempo stesso una governance efficace in un contesto politico sempre più frammentato. Non sarà facile visto il calo di consensi subito in precedenza da altri partiti populisti, come Lega e M5S, che si sono cimentati con la stessa sfida. E l’attuale minoranza di centrosinistra, guidata dalla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, potrebbe trarne vantaggio alle prossime elezioni previste nel 2027 a condizione che sappia presentarsi unita.

5. La Russia nei media italiani

La Ricerca IE RAS si conclude con due interessanti capitoli su come i media italiani informano sulla Russia e sull’emergenza educativa fra i giovani in Italia a partire in particolare dal ruolo di agenzia educativa svolto dalla Chiesa Cattolica nel contrasto al fenomeno del bullismo.

Il cap.10 del Rapporto esamina il tipo di copertura mediatica sulla Russia da parte del sistema informativo italiano. E lamenta il fatto che l’immagine della Russia in Italia nel corso della storia delle relazioni bilaterali sarebbe stata spesso distorta, a volte in modo significativo. La rappresentazione della Russia, sia in passato, ai tempi della Russia zarista e a quelli dell’Urss, che oggi, “è stata largamente condizionata da stereotipi percettivi e dal contesto politico specifico55. E nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che l’Italia insieme a tutto l’Occidente, ha fermamente condannato come atto contrario al diritto internazionale, è enormemente aumentato lo spazio dedicato alla Russia sui media della nostra Penisola. La Ricerca russa cita il rapporto “Illuminare le periferie. La finestra sul mondo: gli esteri nei telegiornali” dell’Osservatorio di Pavia, secondo cui il 6,6% di tutte le notizie internazionali trasmesse nei principali telegiornali italiani è stato dedicato alla Russia56. A partire dal 2022 viene rilevato un cambiamento nell’informazione italiana sulla Russia. Mentre tradizionalmente l’Italia ha mantenuto un approccio pragmatico verso la Russia, nel segno di comuni legami economici e culturali, la guerra in Ucraina ha polarizzato il dibattito interno, trasformando ogni riferimento alla Russia in una questione ideologica, soprattutto nei talk show politici. Possiamo notare che la televisione di stato (RAI) ha mantenuto la propria sede di corrispondenza di Mosca, la quale realizza servizi per i telegiornali improntati all’obiettività nel riferire le posizioni espresse dal Cremlino, anche quando queste risultano distanti e divergenti da quelle italiane, e lo fa con un tono sempre pacato e rispettoso della Russia e delle sue istituzioni.

Ci sentiamo invece di condividere il giudizio del Rapporto circa la tendenza della stampa italiana a piegare alle priorità del momento, se non addirittura a strumentalizzare piuttosto che approfondire, i temi internazionali. Ciò non aiuta gli italiani a comprendere la portata dei grandi cambiamenti in corso sullo scenario globale. Ma può succedere anche che talvolta la società italiana appaia più avanti, più capace di apertura e di comprensione di tali cambiamenti epocali, del sistema dei media: “nei fatti la società italiana, le aziende, il mondo della cultura e della ricerca, e le stesse istituzioni politiche italiane pensano e operano in una logica multilaterale, adeguata alle caratteristiche del mondo attuale. I media [italiani, ndr.] stanno cercando di stare al passo con questi cambiamenti, di raccontarli e di interpretarli in modo molto puntuale57. Un divario rilevato anche dai ricercatori russi che hanno inserito in questo loro Studio alcune rilevazioni sulle opinioni degli italiani sulla Russia, non sempre in linea con la prevalente rappresentazione fatta dai media.

L’ultimo capitolo del Rapporto IE RAS prende spunto da una ricerca internazionale sui valori dei giovani europei e sulla loro idea di futuro, realizzata nel 2020 in Italia, Germania, Polonia e Russia, promossa da un gruppo di esperti appartenenti a diversi enti: per l’Italia, l’Istituto Eurispes che si è avvalso anche dalla collaborazione del Dipartimento CoRiS della Sapienza Università di Roma e dell’Università Mercatorum di Roma, del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università degli Studi di Bologna. Da questa indagine emerge una sorta di “apatia dei valori” tra i giovani tra i 18 e i 30 anni. Il Rapporto indaga la relazione in Italia fra questa crisi valoriale, accentuatasi dopo la pandemia, e fenomeni di disagio e di devianza sociale come il bullismo, andando ad analizzare in particolare il ruolo e la visione educativi della Chiesa Cattolica attraverso le iniziative in tale ambito di alcune importanti istituzioni cattoliche, nella prospettiva di una collaborazione fra stato e chiesa nell’arginare il problema. Un approfondimento interessante sia sotto il profilo sociologico che sotto quello dell’ecumenismo religioso, che riconosce alla gerarchia cattolica in Italia l’impegno “nel formare adolescenti equilibrati e orientati ai valori umanistici” come “una sfida all’intero sistema di valori postmoderno – all’indifferentismo religioso ed etico, al secolarismo, al consumismo, all’utilitarismo58.

Conclusione

Le conclusioni tratte in chiusura di questo Rapporto se da un lato ci restituiscono un originale e arricchente punto di vista sull’Italia, dall’altro non mancheranno di far discutere l’opinione pubblica italiana sia perché talora pongono questioni oggettivamente centrali per la democrazia italiana ma che in Italia non sono dibattute in modo proporzionale alla loro importanza, sia per la nettezza con cui vengono presentate su alcune questioni.

La critica maggiore, e più radicale, rivolta all’attuale sistema politico italiano ci pare esser quella di consideralo inadeguato a permettere “qualsiasi alternativa politica reale59 a causa di una asserita “crescente influenza di fattori esterni60. In tal modo la metamorfosi ideologica e il trasformismo delle forze populiste, di destra in particolare, starebbero portando “alla formazione di un nuovo ‘consenso sacralizzato61 nel panorama politico: una situazione in cui, nonostante le divergenze tra i partiti, nessuno contesta seriamente la linea dominante – né in politica estera, né in economia62. Questa mancanza di opzioni realmente alternative, sarebbe in ultima analisi, secondo i ricercatori russi, la causa della disaffezione alla politica degli italiani, della volatilità delle scelte elettorali e del crescente astensionismo. Queste dinamiche, inoltre (ed è l’altra interessante conclusione) contribuirebbero ad accentuare la frammentazione e l’instabilità del sistema politico italiano nella seconda repubblica, che dopo il ventennio bipolare, la breve stagione tripolare con il M5S, vedrebbe con certezza solo il polo del centrodestra pienamente costituito a fronte delle divisioni che permangono invece tra le forze di centrosinistra, al punto da risultare incerto se si possa ancora parlare di un pieno bipolarismo anziché di un sistema semi-bipolare.

Entrambe le suddette conclusioni ci sembrano utili a generare interessanti dibattiti. A nostro avviso la prima conclusione, piuttosto forte, l’assenza di alternative reali nel sistema politico italiano, trova delle ragioni contrarie, contenute in questa stessa Monografia sull’Italia, laddove viene messo in evidenza con una meticolosa analisi storico-politica, la centralità del multilateralismo nella politica estera dell’Italia repubblicana, non solo con Ue e Nato ma innanzitutto in ambito Onu e anche non rinunciando al dialogo oltre il mondo occidentale, in passato con il blocco sovietico, e la coraggiosa iniziativa del “nuovo atlantismo”, oggi con l’Africa, il Sud del Mondo, con i Paesi appartenenti al sistema Brics, in virtù di una proiezione internazionale sui generis dell’Italia che il Rapporto riconosce e sottolinea. È pur vero che l’unico vero cambio di politiche economiche (il passaggio da un sistema solidaristico di stampo socialdemocratico a un sistema neo o ultra liberale) è avvenuto nel burrascoso passaggio dalla prima alla seconda repubblica, e prevalentemente realizzato non per esplicita e consapevole volontà degli elettori italiani, tuttavia nella democrazia italiana vi è una tradizione di autonomia possibile, sia in politica estera che in economia (che non va sottovalutata considerato il disastroso punto di partenza dell’Italia dopo la guerra) che parte da De Gasperi e passando per Enrico Mattei, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Mario Draghi e altri, arriva fino al presente in forme pur diverse, tortuose e inedite, coinvolgendo non solo le attuali forze di governo ma l’intero sistema politico nazionale.

Riguardo all’altra conclusione cui giunge il Rapporto IE RAS, l’accresciuta fragilità del sistema politico italiano – che ci pare un dato oggettivo, con le cause che l’hanno prodotta – non ci sentiamo di condividere fino in fondo il pessimismo espresso circa la crisi del bipolarismo attuale. Certo il momento storico generale appare colmo di incertezze per il futuro, ma se è evidente che permane una disorganizzazione tra le forze del campo progressista, ci sembra altrettanto vero che il divario elettorale non sia poi così ampio tra i due schieramenti, centrodestra e centrosinistra, stante il permanere di un alto tasso di astensionismo. Se le divisioni fra le potenziali forze di centrosinistra che alle elezioni del 2022 agevolarono, per non dire regalarono, la vittoria al centrodestra, che spalancò le porte di Palazzo Chigi a Giorgia Meloni, verranno superate in vista delle prossime elezioni legislative previste nel 2027, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein avrà le sue chances di vittoria. La partita appare apertissima, a nostro agli avviso, alla luce di quanto attestano i principali istituti di studio e di analisi dei flussi elettorali.

Se lo scopo di questo Rapporto era quello di offrire una visione di alcune fra le principali tendenze che plasmano l’Italia e la sua società, si può dire che sia stato magistralmente raggiunto. Si tratta di un contributo di alto valore scientifico, che aiuta noi italiani a capire meglio l’attuale situazione, con uno sguardo da lontano che riesce a cogliere aspetti della nostra realtà e identità nazionale che dal di dentro sono più difficili da individuare. Nel contempo si tratta di una Ricerca rigorosa e ampia che offre parecchi spunti di riflessione e di dibattito, che abbiamo cercato nel presente articolo di presentare in modo organico al lettore e all’opinione pubblica italiani nel modo più chiaro possibile, sperando di esservi riusciti, facilitati in questo compito da una chiarezza espositiva che abbiamo potuto apprezzare anche nella traduzione in lingua italiana dello Studio. Di particolare valore in questo periodo difficile, anche per le relazioni bilaterali italo-russe, risulta essere che questa pubblicazione, edita nel 2024, non abbia praticamente risentito dei pregiudizi e dei veleni di cui si nutrono opposte narrazioni propagandistiche, e che rendono ancor più difficile la ricerca di una soluzione ai problemi aperti. Da parte nostra abbiamo cercato di corrispondere a questo stile improntato al rispetto e al dialogo reciproco anche nelle annotazioni critiche formulate in modo garbato e costruttivo, con cui abbiamo liberamente espresso i nostri giudizi.

(Roma, 18 aprile 2025)

1 Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS) L’Italia in un mondo turbolento: politica, economia e società – Rapporto dell’Istituto d’Europa № 412, Monografia, AA.VV. Mosca, IE RAS, 2024, pp. 152 – Titolo originale: Италия в кризисном мире: политика, экономика, общество.

2IE RAS, op. cit., pag. 10.

3IE RAS, op. cit., pag. 40.

4IE RAS, op. cit., pag. 10.

5“Dopo lunghe dispute legali nei primi anni del dopoguerra, l’ambasciata sovietica ottenne villa Abamelek Lazarev a Roma [attualmente residenza dell’ambasciatore russo a Roma ndr], mentre l’ambasciata italiana poté tornare a palazzo Berg a Mosca, che occupava dal 1924”. IE RAS, op. cit. pag. 44.

6IE RAS, op. cit., pag. 45.

7IE RAS, op. cit., pag. 46.

8IE RAS, op. cit., pag. 46.

9IE RAS, op. cit., pag. 10.

10Il capitolo che affronta i suddetti temi, il IV, è basato sulle tesi presentate alla conferenza sui problemi dell’Italia presso l’Istituto d’Europa dell’Accademia Russa delle Scienze, tenuta il 7 novembre 2023, a Mosca, dal titolo: “L’Italia in un mondo in crisi: nuove sfide di sviluppo socio-politico ed economico”, organizzata dal Centro di studi italiani del Dipartimento di studi sul Mar Nero-Mediterraneo dell’IE RAS.

11IE RAS, op. cit., pag. 39.

12IE RAS, op. cit., pag. 40.

13IE RAS, op. cit., pag. 51.

14IE RAS, op. cit., pag. 51.

15Andrea Riccardi, L’Italia: «portaerei di pace» nel Mediterraneo, Avvenire, 16 giugno 2010 – https://www.avvenire.it/agora/pagine/litalia-portaerei-di-pace-nel-mediterraneo_201006161036375300000

16IE RAS, op. cit., pag. 65.

17IE RAS, op. cit., pag. 54.

18IE RAS, op. cit., pag. 85.

19“Per quanto riguarda l’evoluzione delle relazioni italo-sovietiche, secondo I.A. Khormach, a metà degli anni ’60 furono “superate le contraddizioni ereditate dalla guerra mondiale, con un disgelo nel conflitto ‘freddo’ che attenuò la precedente tensione, portando i rapporti bilaterali su binari civilizzati e in qualche modo di buon vicinato. I legami economici e culturali raggiunsero livelli significativi, nonostante l’appartenenza dei due paesi a blocchi militari-politici e unioni economiche contrapposte”. IE RAS, op. cit., pag. 54.

20IE RAS, op. cit., pag. 53.

21All’elaborazione del Codice di Camaldoli contribuirono, fra gli altri, politici come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giulio Andreotti (che divennero futuri premier). Fondamentale fu l’apporto dato dall’economista Sergio Paronetto, morto a soli 34 anni nel 1945.

22IE RAS, op. cit., pag. 9.

23IE RAS, op. cit., pag. 14.

24IE RAS, op. cit., pag. 13.

25IE RAS, op. cit., pag. 9.

26 Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS), Alekseenkova E.S., Il processo politico nell’Italia moderna: antipolitica e populismo della Seconda Repubblica, Monografia, Mosca, IE RAS, 2023, pp. 218 – Titolo originale: Политический процесс в современной Италии: антиполитика и популизм эпохи Второй республики.

27Ibidem, pag. 8.

28IE RAS, op. cit., pag. 20.

29Cfr. Hirschmann A. Exit, voice and loyalty: Response Decline in Firms, Organizations

and States. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1970. In quest’opera viene teorizzato che esistono tre opzioni di fornte a situazioni ritenute non soddisfacenti: adattarsi (loyalty), andarsene (exit), o farsi sentire (voice).

30IE RAS, op. cit., pag. 22.

31IE RAS, op. cit., pag. 24.

32IE RAS, op. cit., pag. 56.

33IE RAS, op. cit., pag. 57.

34IE RAS, op. cit., pag. 57.

35IE RAS, op. cit., pag. 57.

36IE RAS, op. cit., pag. 56.

37IE RAS, op. cit., pag. 61 .

38Giuseppe Davicino, Le elezioni europee 2024 viste dall’Italia: effetti sulla politica italiana e sull’Unione Europea,

in Institute of European Studies (IES) of Chinese Academy of Social Sciences (CASS), 6th Blue Book of Italy,

AA.VV., Pechino, 2025.

39Ibidem.

40IE RAS, op. cit., pag. 84.

41IE RAS, op. cit., pag. 90.

42IE RAS, op. cit., pag. 94.

43IE RAS, op. cit., pag. 93.

44IE RAS, op. cit., pag. 91.

45“Nel 2022, l’Italia è riuscita a posizionarsi al 10° posto nella top 10 dei Paesi con la maggiore capacità di influenzare le scelte di altre nazioni senza ricorrere a coercizioni militari o economiche”. IE RAS, op. cit., pag. 106.

46IE RAS, op. cit., pag. 106.

47IE RAS, op. cit., pag. 25.

48IE RAS, op. cit., pag. 77.

49IE RAS, op. cit., pag. 76.

50IE RAS, op. cit., pag. 26.

51IE RAS, op. cit., pag. 28.

52IE RAS, op. cit., pag. 28.

53IE RAS, op. cit., pag. 35.

54IE RAS, op. cit., pag. 28.

55IE RAS, op. cit., pag. 116.

56IE RAS, op. cit., pag. 116.

57Giuseppe Davicino, The BRICS in the Italian press, intervento al Seminario di Studio SUDAFRICA – PRESIDENZA BRICS 2023, su South Africa’s objectives, strategies and initiatives for the BRICS 2023 Presidency, SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), Roma, 15 maggio 2023.

58IE RAS, op. cit., pag. 136.

59IE RAS, op. cit., pag. 137.

60IE RAS, op. cit., pag. 137.

61Nel senso attribuito a questa espressione da Ernesto Laclau e Chantal Mouffe nei loro studi sul populismo.

62IE RAS, op. cit., pag. 137.

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