M5S, il nodo politico oltre la figuraccia europea

Dopo una demenziale matrioska di gaffes di sapore più fantozziano che grillesco, la farsa della collocazione europea del Movimento Cinque Stelle, finalmente sembra concludersi con la soluzione più logica, e più saggia per i pentastellati. Quella del ritorno a casa, nel gruppo europeo degli euroscettici, l’Efdd, benevolmente definito da un grande quotidiano “ghetto xenofobo-populista”, insultando così ben otto milioni di italiani che hanno votato per il movimento di Grillo.

Dopo la – meritata – messa in ridicolo da parte della stampa e delle altre forze politiche, delle mosse del M5S sul piano europeo con giravolte incredibili e con scelte suicide – il movimento antisistema per antonomasia di fama mondiale che bussa alla porta di uno dei santuari dell’establishment tecnocratico europeo e ne viene sdegnosamente respinto -, prepariamoci d’ora in avanti, dopo il rientro nel gruppo euroscettico ad un nuovo killeraggio verbale (il potere del linguaggio talora è più forte di quello delle azioni) verso i Cinquestelle. Infatti è questa la sorte che tocca a quelle posizioni politiche che intaccano i colossali interessi economici globalisti basati sullo sfruttamento intensivo del lavoro e sulla speculazione finanziaria che indebita gli stati. Le forze politiche che hanno l’ardire di smontare il giocattolo della globalizzazione ricorrendo al protezionismo per favorire la reindustrializzazione interna e tutelare ed espandere il lavoro, o di sospendere gli aiuti occidentali al terrorismo internazionale e di interrompere i piani di guerra contro la Russia, vengono subito bollate dai media mainstream con le simpatiche definizioni di xenofobe, misogine, omofobe, populiste, e qui da noi, anche di euroscettiche, non potendo più aggiungere anche “antisemite” dato lo straordinario favore con cui Israele ha accolto e guarda alla presidenza di Donald Trump.

Ma la cosa importante per la democrazia è che il Movimento Cinque Stelle sappia mantenere i suoi genuini connotati popolari e la sua carica innovatrice capace di vincere sull’establishment, una carica che si è ulteriormente rafforzata dopo le vittorie a Roma e Torino, dopo la Brexit, le elezioni americane e il referendum italiano. In questo orizzonte, su quale miglior alleato europeo di Farage il M5S può contare? Nigel Farage è stato l’unico politico europeo ad oggi incontrato dal presidente eletto Trump il quale gli ha manifestato la propria fiducia, a differenza che a Juncker, alla Commissione Europea e alla cancelliera tedesca Merkel, che il presidente eletto percepisce, a ragione, come ostili ed in qualche modo continuatori delle trame (monetarismo, guerra alla Russia, prosecuzione della destabilizzazione del Medio Oriente) che i poteri globalisti, suoi acerrimi nemici, avevano affidato alla Clinton.

Neanche verso il Pd di Renzi e Gentiloni, incautamente schieratisi a fianco della sua avversaria nella corsa per la presidenza, il nuovo presidente americano può nutrire particolare simpatia. Gli Stati Uniti di Trump, con Francia e Germania che (almeno fino alle loro rispettive elezioni) remano contro la svolta che egli sta imprimendo alla politica mondiale in favore della pace e del ritorno al primato dell’economia reale sulla speculazione, stanno cercando di capire quali possano essere in Italia gli interlocutori più affidabili rispetto alle politiche della nuova Amministrazione. La farsa europea cui abbiamo assistito non ha certo aiutato i grillini ad ambire a un tale ruolo, che pur sembra logico e naturale. Per queste ragioni il M5S ha fatto benissimo a riconoscere di aver sbagliato, a riaprire la collaborazione con Farage, e farà benissimo, appena nominato il nuovo ambasciatore americano, a fare al più presto un giro tra via Veneto e Villa Taverna per dissipare ogni equivoco, per dire con chiarezza in quale dei due Occidenti (quello delle classi medie impoverite rappresentato da Trump o quello dell’establishment globalista) intende stare.

Rimane un’ultima considerazione sulla vicenda. Queste difficoltà del M5S evidenziano in modo macroscopico la necessità di costruire a partire già dalle prossime elezioni, una formazione di orientamento riformatore e progressista alternativa all’oligarchia globalista e neoliberista, che governa l’Italia e l’Europa. Una forza che si collochi chiaramente nell’asse del cambiamento voluto dalla classe media che ha sconfitto a furor di voto popolare referendario il progetto neoliberista di Renzi. Una forza che sia disposta ad assumersi le responsabilità derivanti dall’esito del voto, e se necessario, ad allearsi con il M5S per far nascere un governo del cambiamento e per sconfiggere le larghe intese Pd-Forza Italia-Ncd. La sinistra deve imparare dagli errori commessi e tornare a rappresentare il popolo dei lavoratori e della classe media danneggiata dalla crisi. Un progetto che dovrebbe trovare segmenti di cattolicesimo democratico in prima fila, in coerenza con con le sollecitazioni della Dottrina sociale della Chiesa, del magistero di papa Francesco, di quella che è stata la storia e il contributo del cattolicesimo democratico e sociale in questo Paese.

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