La realtà del sistema cinese dei crediti sociali

L’introduzione di regole e infrastrutture che ricalcano, o introducono, al sistema cinese dei crediti sociali, connota l’agenda dei governi occidentali nonostante l’assenza di una chiara delega politica da parte degli elettori per realizzare ciò.
Volenti o nolenti si deve, quindi, imparare a familiarizzare con questa nuova forma di governo in corso di sviluppo da parte del Partito Comunista Cinese.

Cos’è, come è nato,​ come funziona il sistema dei crediti sociali cinesi?
Come ha ricordato la prof.ssa Elena Consiglio, esperta di Cina e di diritti umani, nella sua relazione al seminario sul tema della sorveg­lianza e del control­lo sociale nell’era della sovranità digi­tale, organizzato a Parma lo scorso 17 novembre dall’Osservatorio Giuridico Brics dell’Un­iversità di​ Parma, tale sistema presupp­one l’esercizio di una “sovranità digita­le” da parte dello stato, intesa come po­tere sui dati digita­li generati nello st­ato e come controllo sul transito di que­sti dati sulla rete.
Il sistema di credi­to sociale (社会信用体系 shehui xinyong tixi) è stato definito dal ricercatore Adam Knight come​ una tecnica discipl­inare di regolazione per incoraggiare e attuare la costruzio­ne di una società es­emplare. Una forma moderna di stato etico, che rimette in discussione i limiti internazionalmente riconosciuti dopo la sconfitta dei grandi totalitarismi del Novecento, allo Stato di fronte alla persona, e ai suoi diritti e doveri, innati e inalienabili.
Il​ sistema di cre­dito sociale si conf­igura come componente chiave di un siste­ma ampio e pervasivo di controllo, moni­toraggio e sorveglianza di persone, enti pubblici e pri­vati.
Per Adam Knight si tratta di “un tentativo centralizzato di spingere determinati comportamenti attraverso un sistema di ricompensa e punizione”. Un sistema che usa il bastone e la carota per modellare a proprio piacimento il materiale umano, non riconoscendogli alcun diritto innato, ma solo “premi” e “incentivi”, determinati dall’insindacabile giudizio del Partito-Stato. I diritti non vengono più considerati come inalienabili, come preesistenti e superiori allo stato, ma sono solo più concessi come “premi”.

Il sistema di credito sociale in Cina trova la sua origine, all’inizio del secolo nel pa­ssaggio all’economia di mercato come str­umento per valutare le aziende. François Godement, direttore del programma Asia e Cina dell’European Council of Foreign Relations, ha definito la nascita del sistema dei crediti sociali come un’estensione del rating del credito. Esso introduce un codice nazionale a 18 cifre per tutte le persone che sono valutate in base alla loro integrità o affidabilità e consente ad uno stato corporativo che spia la sua popolazione, di accumulare vaste fasce di dati personali da sintetizzare algoritmicamente in un unico punteggio a tre cifre che determina il proprio posto nella società, congelando di fatto la mobilità sociale.

Fondamentale per co­mprendere il credito sociale è il primato del concetto di “c­hengxin”​ (诚信), che si può tradurre gene­ricamente come onest­à, integrità o affid­abilità. Ben presto dall’ambito commerci­ale (shangwu chengxin 商务诚信) si è passati ad altri ambiti di ap­plicazione. Così vi è lo zhengwu chengxin (政务诚信) che riguarda l’integrità della sfera di governo; il sifa gongxin (司法公信) la credibilità della giustizia e, appun­to, il shehui chengx­in (社会诚信), l’onestà-credibilità sociale che riguarda tutti gli individui. Come avverte Godement, si tratta di valutare cosa implica l’“integrità” in un contesto ampiamente autoritario. Essa finisce per coincidere con la sottomissione alle decisioni del potere. Se si criticano, si perdono punti di reputazione, individuale o aziendale, senza i quali si riduce, fino ad annullarsi, la gamma delle cose consentite. La cittadinanza a punti instaura un variegato sistema di confinamento, di segregazione, di rigida stratificazione sociale a vita dal quale risulta impossibile uscire non appena si incorre nella decurtazione dei punti.
Un aspetto esclusivo del dibattito in Cina è la totale mancanza di disapprovazione per il ruolo del governo. La libertà, antitesi del controllo, è vista come una scelta pericolosa. Come ha osservato Godement, gli autori cinesi enfatizzano i pericoli della libertà, piuttosto che i pericoli di un controllo schiacciante. Notevolmente assente, ha rilevato un’altra studiosa, la sinologa Katja Drinhausen, è qualsiasi discussione sui diritti di espressione dei cittadini e il dibattito pubblico in corso e la critica al filtraggio dei contenuti in Occidente.


Sebbene il sistema dei crediti sociali in Cina non sia ancora stato organizzato a livello nazionale e in modo univoco, costituisce uno strumento strategico per il governo di Pechino. Data la crescente influenza che la Cina esercita sul mondo, si tratta di un modello in grado di essere imitato ed esportato fino al punto che potrebbe divenire, in assenza di un adeguato dibattito sui pro e contro, sulla sua compatibilità con la democrazia e i diritti umani, lo standard di una futura società distopica, governata da una intelligenza artificiale al servizio della ristrettissima élite globale che la controlla, capace di tracciare, sorvegliare e sanzionare le persone con una freddezza e una intensità inaudita.
Ecco perché forse il sistema dei crediti sociali, visto che si assiste ad una sua implementazione seppur non dichiarata, dovrebbe costituire una delle più importanti tematiche del dibattito pubblico, non solo nei partiti, ma anche nella società civile, nel mondo dei media e in quello della cultura. Se ciò non sta accadendo, prima che sia troppo tardi e certe scelte possano risultare irreversibili, ci si assume una grave responsabilità.

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