Dopo la seconda (re)inizia la prima Repubblica

 

Il risultato referendario del 4 dicembre 2016 chiude quella lunga parabola politica italiana che ha avuto inizio il 9 giugno del 1991, quando un altro celebre referendum, quello promosso da Mario Segni sulla preferenza unica, diede la stura all’introduzione del principio maggioritario nella vita politica nazionale.

Quanti hanno vissuto quei momenti ricordano le speranze e le attese che la gran parte degli italiani riponevano nel mutamento di una semplice legge elettorale; in un momento in cui la mediazione dei partiti era considerata un elemento di separazione tra il paese reale e quello legale, una costrizione alla partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica, l’eliminazione della legge proporzionale era vista come l’unica via percorribile per l’evoluzione del paese. In effetti, dopo due anni fu introdotta la legge sull’elezione diretta del sindaco, un mutamento istituzionale che, nei decenni che seguirono, costituì l’unica compiuta riforma generalmente gradita dagli italiani.

La fine della prima Repubblica, che avvenne proprio in quegli anni, fu seguita dal lungo processo gestatorio della nascita della seconda Repubblica; questo processo, che ha complessivamente impegnato un quarto di secolo, si è terminato col referendum che il 4 dicembre ha rigettato la riforma costituzionale. L’evento che avrebbe dovuto far approdare l’Italia verso la meta, da molti attesa e da altri paventata, della terza Repubblica, sembra essersi invece risolto con un subitaneo ritorno al punto di partenza: la prima Repubblica.

Anche se quanti hanno respinto il progetto di modifica costituzionale verosimilmente miravano ad altro, è evidente che l’aver mantenuto una forma parlamentare a bicameralismo paritario, nel quale ogni ramo del parlamento diverge sia per la legge elettorale sia per l’elettorato attivo e passivo, farà permanere il rischio di non disporre di maggioranze omogenee nelle due camere: un rischio che si è già più volte concretizzato nelle ultime legislature e che il mutato quadro politico attuale, oramai divenuto tripolare, amplificherà significativamente.

In aggiunta questo quadro politico renderà ancora meno accettabili i premi di maggioranza, strumenti per garantire la stabilità di governo più tipici degli scenari bipartitici o bipolari, ma che in una situazione tripolare sarebbero considerati eccessivamente costrittivi della reale volontà popolare.

In effetti, dopo 9310 giorni dal referendum Segni, l’elettorato italiano, non è chiaro se consciamente, sembra avere nei fatti depotenziato strutturalmente il principio maggioritario: la cui conseguenza naturale sarà la probabile reintroduzione di una legge elettorale proporzionale.

Una legge elettorale di questo tipo presuppone però che non sia più l’elettorato a scegliere tra opzioni contrapposte già note prima delle elezioni, bensì a delegare ai partiti l’incarico di scegliere chi e come potrà governare sulla base del risultato che emergerà dalle elezioni.

Per paradosso dunque, proprio nel momento più alto delle leadership personali, l’elettorato italiano sembra aver invertito il percorso seguito sinora, riaffidando in sostanza ai partiti la delega alla piena rappresentanza politica.

Il dibattito politico di queste ore, che discute sul possibile ritorno alla legge elettorale proporzionale, dimostra che anche i partiti ricominciano a prendere atto di questa ritrovata centralità: una coazione di elettori e partiti che ha già definitivamente archiviato la seconda Repubblica.

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