Papa Francesco e quel sorriso dal cielo

Piano piano, nei commenti dei giornali, comincia a fare capolino una diversa e più profonda spiegazione di cosa è successo alla Chiesa e al mondo con l’elezione di un gesuita latinoamericano a Vescovo di Roma, con il nome programmatico di Francesco. Una spiegazione che conferma una intuizione che avevo avuto qualche tempo fa, tanto da spingermi a raccogliere materiale su quella che consideravo la “vera agenda del prossimo Conclave” e di cui avevo parlato con un paio di colleghi giornalisti. Il gesto di papa Ratzinger ha reso inutile quel mio abbozzo di lavoro; ma non è questo il punto, ovviamente.

L’agenda – ne parlavo a caldo su AD subito dopo le dimissioni del Papa – ruotava attorno alle più recenti idee proposte dal cardinale Carlo Maria Martini prima della sua scomparsa: il dialogo come metodo; l’esercizio del ministero petrino come servizio; la riforma della struttura e del funzionamento della Curia; l’esercizio effettivo di una collegialità episcopale; l’evangelizzazione ferma e umile, non arrogante ed escludente; nelle questioni morali, un volto misericordioso che ascolti e accolga; una Chiesa mariana, insomma, oltre che petrina…

Riporto questi pochi punti perché ero (e sono) convinto che il vero “convitato di pietra” nella Cappella Sistina sia stato il gesuita biblista, che nel 2005 si presentò malato in Conclave e indicò proprio in Bergoglio il suo candidato. Allora i cardinali, forse un po’ intimoriti dalla monumentale eredità degli straordinari e carismatici 27 anni di pontificato di Karol Wojtyla, preferirono puntare sull’esperto Joseph Ratzinger. Ma la riforma profonda e visibile che pure in qualche modo era stata intravista nelle parole programmatiche di Benedetto XVI, non è venuta. Le dimissioni vanno, quindi, lette come voluta discontinuità rispetto ai rituali tradizionali.

Per questa ragione ho letto con una certa rassegnazione i ragionamenti attorno a “cordate”, contrapposizioni fra curiali e anticuriali (ma con quello che è successo negli ultimi tempi, vi immaginate una Chiesa che punta su un esponente della Curia — con tutto il rispetto, ovviamente, per coloro che non hanno provocato sofferenza al papa emerito), e poi trattative, candidati di bandiera… Come se niente fosse cambiato. E invece tutto era cambiato.

Nei primi commenti dopo l’elezione si è anche evidenziato come nello schieramento italiano ci siano state divisioni. Strano che ci si meravigli – mi dicevo – perché è noto che diverse sono le anime della Chiesa italiana. Oltretutto se proprio ci si vuole dedicare al “gioco” delle caselle, occorre avere un po’ di memoria storica e di conoscenza delle persone. Ci sono porporati, per esempio, che hanno lavorato per anni con padre Carlo Maria, chi nella esegesi biblica, chi in campo ecumenico, chi sul versante socio-caritativo. Un rapporto dunque consolidato da una semina di lungo periodo e che produce frutti al momento giusto.

E quindi, l’unica vera e seria convergenza andava individuata su un programma, che peraltro risultava già stilato. Un programma che evidentemente la maggioranza dei porporati ha ritenuto di fare proprio e di consegnarlo al gesuita argentino. Mentre un sorriso si apriva in cielo…

Buon cammino, papa Francesco, a te e a tutta la Chiesa.

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