editoriale

A oltre 40 anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II nel laicato cattolico c’è stanchezza. Ma anche – quando si riesce a farlo esprimere –  voglia di  riprendere il cammino e tornare a parlare, uscendo dalla fase di frammentazione, ora chiassosa ora afona, o di sbandamento fra radicalismo e ripiegamento, che spesso ha caratterizzato questi decenni.

Si è spesso discusso, e ci si è accapigliati, sulla circostanza se quel Concilio – che Paolo VI, in una lettera a monsignor Lefébvre nel 1976, paragonava per importanza nientemeno che all’assise di Nicea del 325 – abbia provocato una “frattura” nella storia della Chiesa o se si sia posto in continuità, essendo i suoi elementi già contenuti nella tradizione.  A noi sembra che in questi termini il tema sia malposto, perché negli eventi storici non ci sono solo rottura o continuismo. C’è un’altra modalità, che ci sembra più adatta a spiegare cosa è avvenuto in quello che rimane certamente una “festa dello Spirito”. E per spiegarla ricorriamo alla figurazione del “tornante”, che certo fa parte della strada, ne continua il tracciato, ma attraverso una svolta molto pronunciata, che permette di superare un dislivello, portando l’osservatore più in alto, da dove la visione appare più ampia e, anche, spesso, inaspettata. Quante volte, nella storia della Chiesa, si sono affrontati tornanti decisivi…!

Torniamo dunque a ripartire dal Concilio Vaticano II, riprendendo in mano i suoi testi. Senza ovviamente azzerare il “post”, le realizzazioni avvenute in suo nome e nel suo “spirito”, ma preoccupandoci anche degli “eccessi” e di quanto non è stato fatto. In tutto questo dopo-Concilio  non sono certo mancate voci forti e profetiche,  anche se quasi sempre si è trattato di esponenti della gerarchia, o almeno di chierici, quasi che i “christifideles“, i battezzati, i titolari del “sacerdozio universale”, non avessero niente di rilevante da proporre e da discutere nell’agorà ecclesiale e civile. Da qui una certa nostalgia per personaggi come Lazzati e Bachelet, per fare solo due nomi di amici cari, “maestri” perché testimoni credibili.

AgendaDomani nasce tenendo sullo sfondo questa esigenza.

“Agenda” non solo nel senso di elenco, inventario delle cose da discutere e da fare, ma come capacità di fornire un contributo all’individuazione di un programma: un “atto politico” di assunzione di responsabilità.

“Domani”, perché non si può vivere ripiegati sul presente, perché la realizzazione non può essere rinviata a un futuro troppo lontano, perché il dibattito sia orientato alla costruzione di un futuro che vedremo.

C’è una urgenza particolare che chiama i cattolici italiani in questa fase di declino della politica e della cultura civile. Si tratta di ravvivare una “opinione pubblica” nell’ambito ecclesiale, assumendosi la responsabilità che il Concilio affidava ai laici, sottraendosi agli “ombrelli” clericali, affrontando la fatica della mediazione alta, alla ricerca del bene comune massimo possibile.

Per questa ragione in questi primi “assaggi” proporremo alcuni testi che ci sembrano importanti proprio per definire questo “sfondo”, questo orizzonte in cui intendiamo muoverci. Non è infatti irrilevante il contesto in cui porre questioni brucianti come le migrazioni planetarie e nostrane, la bioetica e la biopolitica, l’immobilismo sociale, l’evasione fiscale, le prospettive della democrazia nel nostro Paese, l’Europa e la globalizzazione, la green economy e l’energia… E questi sono solo  alcuni dei temi – senza pretesa di completezza e senza un ordine preciso – che vorremmo affrontare con l’aiuto di tutti voi. Noi lanceremo riflessioni e spunti, provocazioni e analisi. Ci aspettiamo un ritorno di coinvolgimento e di dibattito. Grazie.

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