Dopo Todi un impegno comune: superare il maggioritario

Il seminario di Todi dello scorso 17 ottobre, promosso dal Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro ha contribuito ad alimentare un dibattito nel quale si intersecano piani diversi. C’è l’iniziativa politica dell’associazionismo cattolico, ci sono i tatticismi e le strategie dei cattolici impegnati nelle varie forze politiche, ci sono le preoccupazioni politiche delle autorità ecclesiastiche. Ma ci sono anche questioni di principio come il pluralismo politico dei cattolici, gli orientamenti etici e progettuali della Dottrina sociale della Chiesa, il valore dell’esperienza politica alla luce della spiritualità cristiana.

Ognuno di questi piani nel contempo completa e relativizza gli altri. Dobbiamo tener conto di questa complessità, come ci ricorda padre Giacomo Costa su Aggiornamenti Sociali, il quale ci invita a riflettere sulla “valenza profetica” di un rapporto dei cattolici con il potere che sia illuminato e giudicato dalla “forza trasformatrice del Vangelo”.

A mio avviso, anche se ci si limita ad alcune più modeste osservazioni di carattere storico-politico, vi sono degli aspetti di questo dibattito che sta coinvolgendo il mondo cattolico, che risultano di grande interesse, non solo per i credenti, ma per tutta la comunità civile.

Pensiamo, innanzitutto, al ruolo culturale e politico della Dottrina sociale della Chiesa. Senza alcun intento apologetico, ma da un punto di vista prettamente laico, è un fatto che, ai nostri giorni, senza di essa, senza la Caritas in veritate, senza quella galassia di esperienze sociali e politiche che si richiamano al pensiero sociale cattolico, certe questioni politicamente cruciali rischierebbero di non essere neanche messe più a tema nel dibattito politico. A cominciare da quella della sacralità della persona umana, sfidata da tecnologie che si illudono di poter manipolare tutto e controllare tutto. La stessa idea di bene comune appare per nulla scontata, anzi si è rivelata pressoché inesistente in quelle élite finanziarie e tecnocratiche che hanno condotto l’economia mondiale nell’attuale crisi e che non si sono scoraggiate a perseguire i loro guadagni spropositati anche a costo di seminare impoverimento e miseria fra le classi medie occidentali.

È altresì un fatto storico che oggigiorno solo i cattolici, e pochi altri, sostengono un modello di economia che addirittura elogia la gratuità, ma solo dopo aver rivendicato una equa remunerazione del lavoro in ogni parte del mondo, la giustizia nelle transazioni economiche al posto della legge del più forte, della rendita di posizione, della speculazione.

Per non ricordare poi che quasi solo da parte cattolica vi è stata in questi anni una netta condanna della guerra quando con incredibile facilità la si è deliberatamente cercata, come nel caso dell’Afghanistan, dell’Iraq o della Libia, e, nonostante gli errori, ed i crimini, commessi si è in incessante ricerca del pretesto per aprire un nuovo fronte con l’Iran. Per il pensiero sociale cattolico non esistono vite spendibili per la guerra o per una selvaggia corsa al profitto che priva del futuro una parte cospicua delle nuove generazioni.

Sempre da questo medesimo punto di vista storico-politico credo non si possa ignorare che il berlusconismo esige certo una risposta sul piano etico e culturale, ma per essere superato implica anche una iniziativa sul piano del modello istituzionale e di quello della legge elettorale. Perché, occorre riconoscerlo, il modello culturale berlusconiano è stato quello che ha plasmato questa seconda repubblica, il cui bilancio appare oggi piuttosto fallimentare. Forse, in questo senso, si potrebbe persino sostenere che la seconda repubblica è stata Berlusconi e tutto il resto, la sinistra in particolare, ha lavorato attivamente per l’affermazione di questo modello, nel momento in cui, dal 1992 in avanti, ha accettato il modello istituzionale autoritario della destra plebiscitaria, ha negato il profilo politico del “centro”, illudendosi che con il ripristino del sistema elettorale maggioritario, in Italia storicamente fonte di corruzione e di trasformismo, e strumento per l’esclusione delle classi popolari dalla vita politica, potesse ottenere dai meccanismi elettorali quello che non è in grado di ottenere sul piano dei consensi, non rappresentando in realtà, ancora oggi, più di un terzo dei cittadini.

Per queste ragioni, al di là del più che legittimo pluralismo politico fra i cattolici ci sarebbe un terreno comune che può compattare quella parte di mondo cattolico organizzato che si è ritrovato a Todi. Si tratta del tema della rappresentanza delle famiglie, dei ceti lavoratori, della classe media. Il sistema elettorale maggioritario va superato al più presto non solo perché ingessa la vita politica, e non permette il dovuto ricambio, anche quando lo richiederebbe l’interesse del Paese. Senza il maggioritario non solo avremmo già da un pezzo un nuovo governo, ma soprattutto Berlusconi non sarebbe mai stato il principale protagonista della vita politica per diciotto lunghi anni.

Restituire capacità di rappresentanza alle classi popolari, e dunque dare maggiore vigore e partecipazione alla vita democratica (nei sistemi maggioritari si assiste invece ad una forte riduzione della partecipazione alla vita politica) significa impegnarsi per l’adozione di una legge elettorale di tipo proporzionale che torni a ridare senso e valore al voto. Persino nel Sudafrica del dopo apartheid si riconosce il principio “una testa, un voto”. Anche in Italia abbiamo bisogno di archiviare la seconda repubblica ed aprire una nuova fase nella quale il voto dei ceti sociali ampiamente maggioritari torni a contare qualcosa, e possa decidere non solo chi mandare in parlamento ma anche e soprattutto le maggioranze di governo. Che possa decidere, a tutti i livelli istituzionali, se confermare con il voto le alleanze che i partiti propongono prima del voto, oppure, nel caso che le alleanze decise dalle segreterie prima del voto non riportino la maggioranza assoluta dei consensi, indicare in che direzione debbano costruirsi le alleanze dopo il voto. Questo è successo anche nel Regno Unito, patria dell’uninominale maggioritario alle ultime elezioni. I conservatori non avendo ottenuto i voti per governare, e senza alcuna legge Acerbo (a cui in Italia sembriamo assuefatti) che trasforma le minoranze in maggioranza, hanno stipulato, senza alcun scandalo, una alleanza con i liberaldemocratici dopo il voto.

Il contributo al superamento del maggioritario, per consolidare un bipolarismo fondato sulla diversità dei progetti politici, è il miglior servizio che forze diverse di orientamento cattolico potrebbero fare al Paese, probabilmente nel momento più critico della storia repubblicana. Ben sapendo che i sistemi elettorali maggioritari, proprio per il loro carattere autoritario, funzionale all’establishment e penalizzante per i ceti lavoratori, sono difficilmente reversibili, in condizioni normali. Tuttavia questo può trasformarsi in una motivazione in più per conseguire quell’obiettivo.

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