Emilio Gabaglio, il coraggio del futuro
Il ricordo di Emilio Gabaglio attraversa dimensioni fondamentali dell’impegno sociale e politico che risultano di grande attualità.
A cominciare da quella della laicità, intesa anche come assunzione di responsabilità su scelte che attengono alla sfera temporale, attraverso le quali i laici cristiani sono chiamati a realizzare la propria specifica missione orientata alla costruzione della città dell’uomo.
Gli anni che videro il giovane Gabaglio alla guida delle Acli, a gestire una linea di legittima autonomia delle opzioni politiche, costruita insieme al suo predecessore Livio Labor, costituirono, pur con i contrasti che alimentò allora tale linea, un grande esempio di uno stile di laicità coraggioso e responsabile. E allo stesso tempo costituirono un esempio di quanto sia importante nelle svolte della storia, l’azione di coloro che le intravedono in anticipo sui tempi. Una via che percorsero anche altre grandi personalità del cattolicesimo democratico, come ad esempio, Aldo Moro, riguardo all’evoluzione della democrazia italiana. Si tratta, a mio avviso, di una grande eredità che l’esperienza da presidente nazionale delle Acli, di Gabaglio ci lascia per i nostri tempi. Occorre scrutare l’orizzonte per andare incontro alla direzione in cui va il futuro, in modo consapevole, anche correndo il rischio di andare controcorrente. È sempre il tempo giusto quello per affermare l’autonomia culturale dei corpi intermedi. Negli anni sessanta e settanta l’orizzonte a cui tendere era quello delle riforme sociali e del lavoro da un lato, e quello di una piena maturazione della democrazia dall’altro. Ai nostri giorni all’orizzonte si scorge l’ingresso a pieno titolo nella politica e nell’economia globale di popoli, stati, organizzazioni internazionali, usciti velocemente da una condizione di sottosviluppo, con i quali si dovrà pur trovare il modo di dialogare e costruire insieme un nuovo ordine globale multilaterale al di là dei conflitti in corso.
E proprio la biografia di Emilio Gabaglio a suggerire quanto fosse importante l’apertura internazionale, per il progetto europeo, per una Europa sociale per la quale tanto si è prodigato negli anni in cui fu presidente della Confederazione europea di sindacati (CES), nella consapevolezza che i diritti del lavoro in Italia si affermano e si estendono solo nel più vasto ambito comunitario e in un impegno per la dignità del lavoro che non può conoscere confini.
Credo che la più grande eredità che lascia Emilio Gabaglio, stia nel modo in cui si è posto di fronte ai problemi del lavoro, di fronte alle dinamiche delle organizzazioni sociali e sindacali nelle quali si è impegnato, con un respiro universale, che forse, nei decenni passati, almemo fino al 1989, poteva apparire un di più che contraddistingueva dirigenti della sua levatura, ma che oggigiorno rappresenta un requisito irrinunciabile per operare socialmente a qualsiasi livello in un mondo divenuto più inquieto ma sempre più interconnesso.
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