Guido Bodrato, un maestro e una guida per i cattolici democratici

All’età di novant’anni da poco compiuti si è conclusa l’esistenza terrena di Guido Bodrato. È scomparso uno degli ultimi esponenti di rilievo della Democrazia Cristiana, stretto collaboratore di Carlo Donat Cattin e poi del segretario Dc Benigno Zaccagnini, negli anni del compromesso storico e del rapimento di Aldo Moro, più volte ministro e infine eurodeputato.
Una testimonianza esemplare, quella di Bodrato, di cattolico democratico e di popolare che è durata oltre la Democrazia Cristiana e il Partito Popolare, gli unici due partiti a cui è stato iscritto, che è continuata nell’impegno culturale e formativo dell’associazione I Popolari, che aveva fondato e presieduto per diversi anni.
La sua visione della politica, se da un lato appare legata a un tempo ormai concluso, quello della democrazia fondata su partiti capaci di esprimere una precisa identità culturale e di definire in modo collegiale, democratico e autonomo una linea politica, da un altro lato risulta in anticipo sui tempi, perché il rinnovamento della politica passa inevitabilmente dal superamento della deludente stagione della personalizzazione dei partiti e dal superamento della loro subalternità culturale e politica a poteri esterni.
È stato anche commissario della DC a Milano negli anni in cui quel partito subiva la bufera di Tangentopoli ma anche i salutari stimoli al rinnovamento scaturiti dal percorso impresso alla Chiesa Ambrosiana dall’arcivescovo cardinal Martini in seguito al convegno di Assago sul tema “Farsi prossimo”, da cui partì l’iniziativa delle scuole di formazione all’impegno sociale e politico.
Ha sostenuto il rinnovamento voluto dalla segreteria Martinazzoli, ma senza assecondare eccessi che avrebbero portato, con l’eliminazione delle preferenze multiple e con l’elezione diretta dei sindaci a scapito degli organismi collegiali, a un distacco della politica dai cittadini che ha fatto da serbatoio negli anni successivi al populismo e poi all’attuale preoccupante alto tasso di astensionismo.
Fu tra i fondatori del Partito Popolare di Martinazzoli e nella seconda metà degli anni novanta direttore politico del quotidiano Il Popolo.

Dopo aver concluso gli incarichi istituzionali, l’ultimo ricoperto fu quello di parlamentare europeo, ha continuato a esercitare una costante azione culturale, pur non aderendo né alla Margherita né al Partito Democratico dove invece erano confluiti molti suoi compagni di partito, formazioni nelle quali non vedeva rispecchiati i requisiti da lui ritenuti fondamentali per un partito, quelli di rappresentare una identità culturale  e politica ben definita.
La sua critica a una concezione plebiscitaria della democrazia, alla personalizzazione della politica e al presidenzialismo, la sua fede nel patriottismo costituzionale, e per questo anche il suo europeismo, lo portarono a schierarsi contro il superamento del bicameralismo perfetto nel referendum costituzionale nel 2016.
La sua ultima pubblicazione “Le stagioni dell’intransigenza”, sugli anni del Ppi di Sturzo, nazionale e piemontese, fra fascismo e bolscevismo, edita dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, proprio dopo le ultime elezioni politiche, ha ripercorso i momenti fondanti dell’autonomia politica dei cattolici, con la sua interpretazione della loro “lunga marcia” dal clericalismo al Partito di ispirazione cristiana, il PPI di don Luigi Sturzo, e risulta per molti aspetti di sorprendente attualità.

In questa sua ultima opera possiamo forse scorgere il testamento spirituale di Guido Bodrato: un richiamo, in questa ora non calma della storia a sentire la responsabilità del momento storico.
Anche per questo va a lui la riconoscenza di generazioni di popolari e cattolici democratici che si sono formati alla scuola del suo pensiero e del suo esempio.

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