In Piemonte ha prevalso il centro-sinistra, è stata la Bresso a perdere

Pubblichiamo il testo integrale dell’articolo di Federico Fornaro, vicesegretario regionale del Partito Democratico del Piemonte apparso su “L’Unità” di venerdì 9 aprile 2010. Lo consideriamo un contributo importante a comprendere le dinamiche reali dei flussi elettorali, dai quali si possono trarre chiare indicazioni politiche.
 

Il voto del Piemonte è stato decisivo per determinare il segno complessivo delle regionali 2010. Al di là dei primi commenti a caldo, se si guardano i dati del Piemonte con una giusta dose di umiltà (e di onestà intellettuale) si scoprirà che la realtà è più complessa di quella che appare a prima vista e che, soprattutto, sono stati determinanti per la sconfitta della Bresso alcuni fattori straordinari e non facilmente prevedibili.

Partiamo da una prima considerazione (trascurata dalla quasi totalità dei commentatori): dopo le elezioni europee 2009 il centro-sinistra partiva dal 39,7% e aveva un distacco di 8,4 punti percentuali rispetto a PDL e Lega. Seguì, per decisione unanime del PD piemontese e in perfetto accordo con la segreteria nazionale, una paziente e non semplice politica di allargamento dei confini della coalizione di governo all’UDC (6,1%) e di quella elettorale alla Federazione della Sinistra (3,3%). Non a caso si parlò dell’avvio di un nuovo “Laboratorio” per la politica italiana.

Grazie a questa politica delle alleanze, il bacino potenziale della candidata Bresso risaliva al 49,1%; mentre sull’altro fronte l’accordo con la Destra di Storace consentiva a Cota di poter contare su un consenso potenziale del 50,2%. La differenza quindi, in termini teorici, si era ridotta a un solo punto percentuale e, per dirla in termini calcistici, la partita era diventata giocabile.

A guardare con attenzione, anche i dati usciti dalle urne hanno confermato la buona tenuta del centro-sinistra allargato (47,5% dei voti contro il 47,0% dei partiti del centro-destra), nonostante la netta flessione dell’UDC (- 2,2% rispetto al 2009) e una contrazione dei consensi alla Federazione della Sinistra (- 0,7% sulle Europee).

Come ha fatto, dunque, alla fine Cota a sopravanzare la Bresso dello 0,42% ?

Nelle schede votate contenenti solo il voto al candidato Presidente (14,1% del totale contro il 15,1% del 2005), Cota ha ottenuto il 49,4%, la Bresso il 43,0% (56,4% nel 2005), il grillino Bono il 6,7% (la sua lista il 3,7%) e un candidato locale, Rabellino lo 0,9% (contro l’1,80 delle liste di appoggio).

In questi 19.971 voti “personali” di differenza a favore di Cota sulla Bresso (che hanno consentito di ribaltare i 10.599 voti di vantaggio delle liste del centro-sinistra) risultano conteggiati anche i cosiddetti “voti disgiunti” (schede con voto a una lista e indicazione di un candidato presidente di un’altra coalizione).

Alla fine, è stato proprio il “fuoco amico”a risultare determinante per la sconfitta della Bresso per poco più di 9.000 voti di distacco.

Correlando le percentuali dei voti dati alle liste e quelle dei voti complessivi ai Presidenti,infatti, alla Bresso mancano all’appello circa 14.000 voti, mentre Cota se ne ritrova circa 7.500 in più (di cui circa 2.500 in arrivo da Rabellino). E’ possibile,perciò, stimare un voto disgiunto in uscita dalle liste a sostegno della Bresso verso Bono, il candidato presidente grillino (dichiaratamente NO-TAV) pari a circa 9.000 unità e un flusso netto in uscita verso Cota (presumibilmente voto cattolico ubbidiente al richiamo della Cei contro Bresso e Bonino) di circa 5.000 unità. Questi due fenomeni sono particolarmente marcati in provincia di Torino, dove è tradizionalmente maggiore il voto di opinione.

In altri termini, se la “fedeltà” degli elettori del centro-sinistra fosse stata simile a quella del 2005 (senza significativi fenomeni di voto disgiunto in uscita) la Bresso avrebbe vinto .

Si aggiunga, infine, un particolare noto solo agli addetti ai lavori: subito dopo l’accordo per il sostegno alla Bresso, l’UDC ha subito la defezione di un consigliere regionale, in dissenso rispetto all’alleanza con il centro-sinistra, che in fretta e furia ha allestito una lista personale, alleata di Cota, che ha ottenuto 12.154 voti. Oppure, se preferite, ancora una volta la destra radicale è stata determinante in Piemonte (la lista di Storace prende 12.581 consensi), esattamente come lo fu nel 2006, quando quei voti, al Senato, consentirono a Berlusconi di vincere in regione, con conseguente premio di maggioranza.

In definitiva, in queste elezioni è certamente mancato al centro-sinistra piemontese l’effetto Bresso del 2005 (e più in generale un maggior consenso diffuso verso le scelte compiute dal governo regionale negli ultimi cinque anni), ma per usare una metafora alpinistica la sfida elettorale del Piemonte era, fin dall’inizio, paragonabile a una scalata di sesto grado. Un’impresa che è stata affrontata con determinazione e passione, ma a pochi metri dalla vetta una improvvisa scarica di pietre (voto disgiunto a favore di Bono/Grillo e il diktat di Bagnasco) ha rallentato il centro-sinistra e consentito all’avversario (Cota ha comunque dimostrato alla prova dei fatti di essere un ottimo candidato, migliore di Ghigo nel 2005) di giungere per primo in vetta.

Rimane dunque l’amarezza per una sconfitta pesante (e la necessità di un serena riflessione critica e autocritica su errori e manchevolezze dei vari componenti della cordata), ma le disfatte sono un’altra cosa.

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