Kim e Moon: storico incontro in Corea

Quello tra il leader nord-coreano, Kim Jong-un, e il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, è un incontro di straordinaria portata storica. Siamo forse vicini alla chiusura dell’ultimo capitolo ancora aperto della Guerra fredda che, trovò proprio nella penisola coreana uno dei suoi momenti di maggior asprezza. A Panmunjom, città simbolo su quel 38° parallelo che dal 1953 segna il confine tra i due Paesi, sta aprendosi una nuova stagione di distensione e di pace. Le recenti olimpiadi invernali di Pyeongchang in Corea del Sud, con l’allestimento di un’unica squadra per meglio competere ai giochi, hanno compiuto una sorta di miracolo, impegnando i due Stati in un cammino comune. Il resto, forse, dobbiamo metterlo in credito al presidente americano, Donald Trump, che ha dato la sensazione al dittatore nord-coreano che l’America non si sarebbe tirata indietro di fronte a ulteriori escalation missilistiche.

Comunque sia, Kim deve aver intuito che le cose potevano prendere una brutta piega per il suo Paese, che resta uno dei più poveri del mondo, ed ha preferito giocare la carta della collaborazione con il suo vicino. E Seul probabilmente non attendeva altro da decenni, pur non avendo mai cessato di pensare al rovesciamento del regime comunista che si trova dall’altro lato del confine.

Strategia vincente quella della pace, come sempre. Così come lo è il dialogo diretto tra i contendenti, quel guardarsi negli occhi, che nella storia, come nella vita, ha sempre contribuito ad avvicinare gli uomini. Si smette di essere nemici quando ci si stringe la mano e si incrociano gli sguardi, perché proprio da quei gesti tanto semplici quanto efficaci, possiamo riscoprire la nostra comune umanità.

Sono cose che sappiamo bene. La Guerra fredda tra Usa ed Urss ebbe termine nel 1989, con il crollo del muro di Berlino, ma che un conflitto vero e proprio tra i due Paesi non sarebbe mai scoppiato lo si poté, per molti versi già intuire trent’anni prima, nel 1959, quando Nikita Kruscev visitò l’America ricevuto da Dwight Eisenhower. I ragazzi scoprirono che il leader dei comunisti non era tanto dissimile dal loro nonno e tutti quanti videro l’avversario per antonomasia sfidare gli Stati Uniti, affermare che  il comunismo avrebbe superato il capitalismo non costruendo nuove armi ma  producendo più frigoriferi ed automobili. Lo stesso non capitò tra Israele ed Autorità palestinese, anche se l’indimenticabile stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, sul prato della Casa Bianca sotto lo sguardo di Bill Clinton, fece davvero sperare in un Medio Oriente finalmente pacificato. Un sogno finito troppo presto con i proiettili di un estremista ebreo contro Rabin, il generale che voleva far la pace con gli storici nemici del suo Paese.

Non è possibile prevedere quali prospettive saprà realmente aprire l’incontro tra Kim e Moon, ma siamo certi che, stavolta, si è imboccata la strada giusta, quella che potrebbe portare alla riunificazione del Paese e alla completa denuclearizzazione dell’intera Corea. Inutile però immaginare fughe in avanti. Meglio, piuttosto, ragionare sui prossimi passi, primo dei quali sarà una l’avvio di una reciproca collaborazione tra i due Paesi su alcune urgenti questioni concrete, a cominciare dagli scambi commerciali e da una graduale libertà di movimento per i cittadini tra il nord e il sud della penisola.

Tra un mese dovrebbe poi avvenire un altro appuntamento decisivo, quello tra Kim e Trump: qualcosa di inimmaginabile soltanto sei mesi fa. Certo, il regime nord coreano resta un regime totalitario lontano da qualsiasi forma di democrazia o di Stato di diritto, ma la sfida è proprio questa: mettere da parte quello che ci divide, ponendo in primo piano le cose che ci uniscono. A tal proposito risuonano, sempre intatte nella loro validità, le parole di John F. Kennedy “Non cancelliamo quindi le nostre divergenze, ma rivolgiamo la nostra attenzione anche agli interessi comuni, e ai mezzi per risolvere quelle divergenze. E se non possiamo mettervi fine ora, possiamo almeno contribuire a rendere sicuro il mondo, nella sua diversità. Poiché, in ultima analisi, il legame che sostanzialmente più ci accomuna è il fatto che tutti abitiamo questo pianeta, tutti respiriamo la medesima aria, tutti ci preoccupiamo del futuro dei nostri figli, e siamo tutti mortali”.

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