Pd, si chiude l’era Renzi

L’era Renzi si è chiusa, il Pd rimane affidato al vicesegretario Maurizio Martina, in veste di traghettatore in attesa di stabilire le prossime tappe. Del resto, dopo il disastro elettorale, con un crollo al minimo storico del 18 per cento, era inevitabile un cambio di rotta. Le cifre, in tal senso, sono spietate. Anche non considerando l’estemporaneo 41 per cento ottenuto alle europee 2014, il partito ha comunque subito un tracollo di almeno 10-12 punti rispetto a quella soglia, attorno al 30 per cento, che rappresenta un po’ il suo naturale bacino elettorale.

Una caduta determinata in parte dal fisiologico logorio cui sono sottoposte, in qualsiasi democrazia, le forze di governo alimentando negli elettori la voglia di cambiamento, ma anche dai tanti errori commessi nella conduzione del partito. E’ mancata la capacità di interpretare le ansie e le speranze del proprio elettorato di riferimento. Si è parlato ai ceti privilegiati, il che è ovviamente legittimo per una forza che vuole proporsi come realtà di governo, ma nel contempo ci si è troppo allontanati dalle classi popolari, il che per una formazione di centro-sinistra significa perdere il proprio dna.

Di questo errore Matteo Renzi è sicuramente il maggior responsabile ma certo non l’unico, anche se oggi a parecchi dirigenti fa comodo scaricare tutto addosso all’ormai ex segretario. In ogni caso, con la prontezza già mostrata all’indomani della sconfitta referendaria, Renzi ha immediatamente tratto le dovute conseguenze del voto. E’ un dato che gli fa onore, anche se, da parte sua, sarebbe stato meglio evitare quello strano accenno al voto anticipato alla primavera 2017 che avrebbe potuto fornire al Pd un esito migliore di quello attuale. Forse ci si sta dimenticando che lo scioglimento anticipato della legislatura è davvero l’ultima ratio, quando non esiste più alcuna maggioranza e non certo un’arma da  brandire cercando improbabili rivincite personali.

Detto questo, adesso è bene archiviare la stagione del renzismo. Anni in cui si è assistito ad una personalizzazione mai vista in una formazione di centro-sinistra, culturalmente abituata (lo erano sia la Dc che il Pci di cui i democratici sono in larga parte gli eredi) a modelli collegiali ed inclusivi. Qui vi è stato invece il tentativo di imporre, a tutti i costi, anche al prezzo di una drammatica scissione che ha indebolito l’intero centro-sinistra, “un uomo solo al comando”. In un’intervista al Corriere della Sera, Renzi parla di piaggeria nei suoi confronti. Magari ci sarà stata anche questa  ma, come sta scritto sotto la testata del quotidiano francese Le Figaro, “non vi è alcuna piaggeria se non esiste la libertà di criticare”. E nel Pd di marca renziana il  dissenso veniva sempre assimilato ad una sorta di ammutinamento al capo. Troppe volte sono prevalse logiche di clan, quelle che hanno fatto parlare del famoso, o famigerato, “Giglio magico”: un caminetto, l’unico ammesso da Renzi,  di fedelissimi a cui, non a caso, sono stati assegnati dei collegi iperblindati, pur di farli tornare in Parlamento.

Ora è giunto il momento di voltare pagina e Martina, per storia personale e per profilo politico, può davvero rappresentare la giusta discontinuità.  Soprattutto – si spera – sul piano del metodo, che dovrà tornare ad essere quello del confronto e della condivisione.

Per intanto resta da capire quale piega prenderà la questione del governo. La scelta di stare all’opposizione, condivisa un po’ da tutti, tranne dalla corrente del governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha una sua indubbia ragionevolezza: gli elettori hanno bocciato il Pd: siano dunque altri, i vincitori, a farsi avanti se ne sono capaci. Se questa è la posizione odierna, bisognerà vedere se non vi sarà qualche mutamento in base alle necessità della politica. Vi sono infatti delle responsabilità che, a volte, prescindono dai desiderata iniziali. Di certo oggi è prematuro parlarne.

Adesso è il momento di salutare Renzi, rendendogli l’onore delle armi per l’energia e la passione con cui ha svolto il proprio ruolo. Un salutare distacco dal potere non potrà che fargli bene. Ha l’età per tornare ad essere nuovamente protagonista, come in anni lontani, seppe fare, molte volte dopo ogni rovescio, quel suo illustre conterraneo di nome Amintore Fanfani.

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