Cattolici senza partito?

L’ultimo libro dell’ex parlamentare Pd, Giorgio Merlo – tra i pochi odierni esponenti politici che ancora credono nella riflessione politica e sono capaci di proporla ai lettori – si intitola “Cattolici senza partito?”. Un interrogativo su cui vale la pena di riflettere a fondo, per le molteplici implicazioni sulla futura vita politica del nostro Paese.

Per capirne la portata occorre considerare che per quasi mezzo secolo si era realizzata una certa unità politica dei cattolici, attorno alla Dc. Con il crollo dello scudo crociato, nel 1994, e l’avvento della cosiddetta Seconda repubblica, tutto è mutato e il patrimonio politico dei cattolici si è disperso nelle diverse formazioni di centro-destra e centro-sinistra che hanno caratterizzato quest’ultimo ventennio. Privati però di una comune casa politica, i cattolici, così frammentati, hanno visto emergere sempre più il rischio dell’irrilevanza.

Nel rispondere alla domanda posta dal libro, si tratta di quale spazio possa esserci per il cattolicesimo democratico e quale contributo questa cultura possa ancora offrire all’Italia di domani. Tre strade paiono possibili: diventare una corrente organizzata in una forza politica più grande; riproporre l’esperienza dell’unità politica; estraniarsi infine dall’arena politica per svolgere un impegno nel sociale, in quell’ambito prepolitico, che da tempo, in effetti, rappresenta l’area privilegiata della presenza cattolica.

Il problema è che nessuna di queste strade pare davvero soddisfacente. Di certo non lo è, andando per esclusione, limitare lo spazio della cultura cattolica alla sola area sociale, tra volontariato e no profit, senza la precisa ed indispensabile ambizione di essere protagonista della vita politica. Perché è in sede politica che si compiono le grandi sintesi riguardo alle più importanti questioni del nostro tempo: dalla pace, al lavoro, alla famiglia. L’opzione di rinchiudersi nel recinto sociale è realmente la più insidiosa perché significa allontanarsi dai luoghi delle grandi decisioni e certificare la propria subalternità alle altre culture.

Rimangono allora in campo le altre due opzioni. La più realistica, tra esse, sembra essere la confluenza in un contenitore più ampio ove svolgere, con una certa dose di autonomia, il proprio percorso politico e culturale. Anche se, l’esperienza più concreta, quella compiuta all’interno del Pd, come naturale casa del riformismo cattolico, ha patito la personalizzazione renziana con quell’attitudine da “uomo solo al comando”, in totale antitesi alla cultura del popolarismo che valorizza invece i corpi intermedi e un vero pluralismo.

Resta invece difficile immaginare un ritorno a qualcosa che somigli alla vecchia Dc, come luogo di incontro delle diverse anime del cattolicesimo, da quelle più moderate a quelle riformiste. Eppure l’attuale legge elettorale, su base prevalentemente proporzionale, un vero e proprio ritorno all’antica, dopo l’abbuffata di maggioritario, potrebbe, a ben pensarci, consentire un riavvicinamento delle diverse sensibilità cattoliche, non più obbligate a schierarsi necessariamente a destra o a sinistra dalle imperiose regole maggioritarie. Si tratta di una suggestione che forse meriterebbe di essere esplorata, senza pensare che possa risolvere tutti i problemi. 

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