La tempesta perfetta

Passata la tempesta, si può ragionare a mente fredda. Parliamo naturalmente dell’uragano Irma, che ha provocato un’ondata di distruzione senza precedenti nei Caraibi e in Florida. La potenza e la persistenza di questo fenomeno atmosferico, classificato di categoria 5 su una scala di 5, sono state tali da poterlo definire come il più potente uragano mai abbattutosi sulle isole atlantiche e sulle coste americane. Non solo: pochi giorni prima, l’uragano Harvey, di potenza appena inferiore, aveva a sua volta flagellato il Texas, allagando Houston, quarta metropoli americana.

Due fenomeni consecutivi di tale portata non sono necessariamente indicativi di una tendenza in atto, ma rappresentano un indizio da non sottovalutare. E dovrebbero fungere da pesante monito per il presidente Usa Trump, alfiere della sempre più sparuta brigata dei negazionisti, che si ostinano a non vedere il cambiamento climatico in atto a causa del riscaldamento globale. Un cambiamento in gran parte determinato dalle attività umane, ancora troppo basate sull’utilizzo di combustibili fossili, con la conseguente emissione di milioni di tonnellate di CO2, gas che è il principale responsabile dell’effetto serra climalterante.

Gli scienziati sono ancora molto prudenti nel correlare l’aumento dei fenomeni climatici estremi con il surriscaldamento del pianeta e ancor più con la responsabilità delle attività umane in tutto questo, tuttavia man mano che le analisi si approfondiscono e si acquisiscono nuovi elementi, le correlazioni appaiono sempre più evidenti. Per restare proprio agli Stati Uniti, protagonisti loro malgrado dell’ultimo (per ora) evento climatico catastrofico, è di particolare interesse lo studio condotto dall’Agenzia governativa NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) che ha posto in relazione numerose casistiche. Nelle conclusioni, i meteorologi dell’ente governativo sostengono che effettivamente i dati attuali non sono sufficienti per affermare che le emissioni di CO2 di natura antropica possano avere già determinato effetti diretti sugli uragani che si formano al di sopra dell’Atlantico, tuttavia è prevedibile che il riscaldamento dovuto all’effetto serra determinerà un aumento di potenza di tutti i cicloni della fascia tropicali, non solo gli uragani atlantici, ma anche i tifoni che devastano le coste asiatiche. A seconda dei modelli di calcolo, questo incremento di potenza è stimato fra il 2 e l’11%, ma in ogni caso è evidente che questo aumenterà, e non di poco, anche il loro potenziale distruttivo.

Ancora, le analisi mostrano la probabilità di un maggior numero di eventi climatici estremi, anche a fronte di una complessiva diminuzione dei fenomeni, nonché un incremento della quantità di precipitazioni collegate ai cicloni, anche qui con una forbice del 10-15% che lascia prevedere il moltiplicarsi di episodi alluvionali particolarmente gravi ed estesi. Questo anche a causa dell’innalzamento del livello dei mari, a sua volta effetto del riscaldamento globale che agisce in due modi, da un lato con lo scioglimento dei ghiacci polari e dall’altro dilatando la massa liquida a causa della temperatura maggiore, fenomeno virtualmente impercettibile a livello molecolare, ma di effetto ragguardevole su proporzioni oceaniche. Aumenti di qualche decina di centimetri sono in grado di mettere potenzialmente a rischio aree sempre più ampie, moltiplicando pericoli e danni. Parallelamente all’intensità delle precipitazioni, aumenta anche la potenza dei venti che caratterizzano i cicloni, anche qui con effetti intuibili: la possibilità di sradicare e trasportare via quantità maggiori di oggetti destinati a diventare proiettili micidiali, o detriti in grado di intasare il deflusso delle acque.

In generale, scenari tanto preoccupanti quanto ineluttabili, almeno nel breve periodo, vista l’inerzia di sistemi complessi come la nostra biosfera, che in futuro potrebbero anche peggiorare, se continueremo a perseverare con le tendenze attuali. Tradotto, significa che abbiamo aspettato troppo a lungo a prendere provvedimenti che diminuissero le emissioni di CO2 e il conseguente surriscaldamento globale, quindi anche se agissimo immediatamente ci vorrebbero anni prima di ridurre significativamente l’effetto serra. Per esemplificare la cosa, tempo addietro gli ambientalisti utilizzavano l’esempio del treno che, a causa della sua massa, deve iniziare a frenare ben prima della stazione, per fermarsi in tempo. Qualcosa di ovvio per qualunque macchinista ferroviario, ma che evidentemente era al di fuori della portata dei decisori politici ed economici che governano il mondo, troppo focalizzati su ottiche di breve periodo per vedere i rischi del futuro, anche se prossimo, e nonostante i numerosi allarmi lanciati dalla comunità scientifica e ambientalista.

Ora la frittata è fatta, e ne pagheremo a lungo le conseguenze, ma pare che ancora non basti. Non solo, infatti, continua pervicacemente a resistere una minoranza negazionista che, appunto, annovera tra le proprie fila anche il presidente Trump, impegnato nella strenua difesa degli interessi della potente lobby dei combustibili fossili, ma anche nelle pratiche quotidiane sembra che ci ostiniamo ad andare in direzione opposta.

Il discorso è globale, ma vale la pena di focalizzarlo sul nostro Paese, che ultimamente ha dimostrato tutta la propria fragilità agli eventi naturali. Pensiamo in primis ai terremoti, naturalmente, che continuano a mietere vittime a causa del crollo non solo di edifici storici non adeguatamente rinforzati, ma anche di costruzioni più recenti, edificate senza tenere minimamente in conto le prescrizioni antisismiche o addirittura in barba a qualunque regola, in nome di un abusivismo di massa che però, alla lunga, presenta il conto.

Una considerazione valida anche per il rischio idrogeologico, particolarmente rilevante nel nostro Paese. Abbiamo già centinaia di fiumi “tombati” e imbrigliati in modo del tutto innaturale che, a ogni pioggia leggermente più violenta, esondano provocando vittime e danni. Una casistica destinata ad ampliarsi, visto che l’aumento dei fenomeni estremi analizzato in precedenza per i cicloni non è un’esclusiva della fascia tropicale, ma presenta ormai caratteristiche simili anche alle nostre latitudini, che un tempo venivano definite “zone temperate”, locuzione ormai da relegare nostalgicamente in soffitta, assieme ai vecchi “sussidiari” delle elementari. Il mondo è cambiato, anche dal punto di vista climatico, in gran parte per colpa del nostro “sviluppo” incontrollato e insostenibile, guidato da miope cupidigia e bramosia consumistica.

Una tendenza, come detto, tuttora in corso, nonostante i molteplici moniti e le numerose sciagure già occorse: ancora oggi, continuiamo a vedere migliaia di ettari di territorio divorati da asfalto e cemento, un processo di impermeabilizzazione del suolo non certo estraneo ai numerosi episodi alluvionali degli anni recenti. Eppure, se qualcuno si oppone a questo scempio insostenibile, viene immancabilmente accusato di essere contro il progresso, di “dire di no a tutto”. Quante sciagure dovremo ancora subire prima di imparare a invertire la tendenza?

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