Il ritorno de “La Wally” sui palcoscenici emiliani

L’opera di Alfredo Catalani proposta in un riuscito allestimento e con un cast vocale ricco di sorprese.

La Wally di Alfredo Catalani, amata da Arturo Toscanini al punto da fargli scegliere di chiamare la propria figlia con lo stesso nome della protagonista dell’opera, e ammirata pure da Riccardo Muti, il quale non ha nascosto, in recenti interviste, che sarebbe felice di poterla dirigere, magari per il suo auspicato ritorno operistico sul palcoscenico della Scala, sembra veder rinascere l’interesse nei suoi confronti dopo diversi anni di oblio dalle scene italiane.
Il primo a pensarci è stato il Teatro Municipale di Piacenza, che grazie all’intraprendenza del suo direttore artistico, Cristina Ferrari, ha coprodotto un nuovo allestimento con i Teatri di Modena, Reggio Emilia e Lucca.

Nello splendido Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, dove è terminato il ciclo di recite emiliane, il consenso è stato completo. L’opera, al tempo della sua creazione nel 1892, apparve moderna per il tentativo di “tedeschizzare” le forme attraverso una partitura di compatta struttura sinfonica, che si sviluppa parallelamente alle nascenti tendenze italiane dell’opera verista. Certo si è dinanzi a una partitura originalmente pensata per perseguire un discorso canoro a flusso continuo, con belle introduzioni strumentali di ampio respiro (quelle che aprono il III e IV atto), alcuni squarci melodici divenuti celebri (l’aria che conclude il primo atto, “Ebben?…Ne andrò lontana”), e qualche concessione al color locale per lo jodler affidato al personaggio en travesti di Walter. C’è poi il tema della natura, che si presenta in tutta la sua forza dominante nella visione della montagna che sovrasta il destino umano e diviene infine giaciglio di morte fra i suoi ghiacci.

L’argomento stesso dell’opera, su libretto di Luigi Illica, dipana una vicenda in cui la protagonista, Wally, è donna determinata perché libera da ogni convenzione sociale, pronta ad andare anche contro al volere padre, Stromminger, che le vorrebbe imporre la mano di Vincenzo Gellner. Per questo la si vede lasciare la casa natia e fuggire da sola sui monti. L’opera vede poi la donna sedotta per scommessa dall’amato Giuseppe Hagenbach, che l’ha lasciata per un’altra, Afra, ma al quale resta fedele fino alla morte. Lei si vendica inizialmente concedendosi a Gellner, così preso da lei al punto da accettare di farsi corrompere dalla donna e convincersi a gettare il rivale in un crepaccio; eppure lei si pente e lo salva. Wally fugge poi sulle montagne, dove Hagenbach la cerca e finalmente le dichiara il suo amore. Ma la felicità ha breve durata. Una valanga sorprende i due innamorati: prima travolge lui, mentre lei, disperata, si suicida gettandosi in un crepaccio. La trama, dai risvolti drammatici carichi di tensione, connotati con quel gusto che pone la protagonista al centro di una vicenda che la rende eroina e vittima del fato negativo, coraggiosa nelle sue scelte di vita ma incapace di qualsiasi moto di riscatto o serenità redentiva, vede lo spettacolo davvero riuscito di Nicola Berloffa rifiutare ogni concessione al color locale montano e alla dimensione di una natura che qui è solo ostile, vista come attraverso i fotogrammi di un vecchia pellicola. Ecco perché lo spettacolo punta ad una novecentesca dimensione ambientale Anni Venti che rende l’opera come un racconto noir in stile cinematografico colmo di colpi di scena e con una regia assai curata. I costumi, assai belli, sono di Valeria Donata Bettella e l’impianto scenico per lo più fisso di Fabio Cherstich, con una fondale di montagne preceduto da camminamenti sul ghiaccio inclinati, gioca con funzionale intelligenza fra interni ed esterni.

Anche l’esecuzione musicale poggia sulle solide spalle direttoriali di Francesco Ivan Ciampa, che solo talvolta cede alle lusinghe di sonorità un po’ muscolose, ma per altro è capace di rendere la narrazione musicale sempre incalzante ed avvincente, con il contributo di un’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna in gran forma e di un Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito da Corrado Casati, più che meritevole.

Il cast è all’altezza della situazione ed ha nel soprano spagnolo Saioa Hernandez una protagonista d’eccezione. La voce è piena nei centri, di bel colore morbido e scuro, con impennate acute di graffiante incisività e un solo difetto (di poco conto una volta constatata la solidissima tenuta vocale complessiva dinanzi a un ruolo di immane difficoltà come questo): l’espressività perfettibile, soprattutto al momento di intonare la pagina più celebre dell’opera, l’aria “Ebben?…Ne andrò lontana”.

Assolutamente impeccabile il Gellner di Claudio Sgura, che coglie alla perfezione la dimensione baritonale vilain del personaggio e presta al ruolo un voce vigorosa e tonante, così come assai brava è anche il Walter di Serena Gamberoni per la voce luminosa di soprano lirico e la musicalità ferrea mostrate in un ruolo risolto come meglio non si potrebbe immaginare. Il basso Giovanni Battista Parodi è un anziano Stromminger di sicura presa teatrale, Carlotta Vichi una Afra di bel colore vocale mezzosopranile e il basso Mattia Denti un valido Pedone di Schnals. Solo Zoran Todorovich incontra più di una difficoltà nel risolvere la famigerata parte tenorile di Hagenbach. Quando la declamazione si fa martellante l’emissione appare spinta e sgraziata, ma se non soccombe dinanzi alle non poche défaillances vocali è perché il personaggio appare credibile e disinvolto.

L’occasione del ritorno sulle scene de La Wally è stata dunque salutata con un successo proporzionato all’interesse per una riproposta assai curata.

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