Trump alla Casa Bianca: il complesso militare-industriale al potere?

Pochi giorni ormai ci separano dall’insediamento di Donald Trump come 45° presidente degli Stati Uniti. Eletto a sorpresa lo scorso novembre contro Hillary Clinton, Trump è certamente il più atipico tra gli inquilini che hanno varcato la soglia della Casa Bianca. E’ atipico perché non appartiene ad alcuna delle forze politiche in lizza, tanto che sino all’ultimo il Partito repubblicano sotto i cui colori ha corso per la presidenza, ha rifiutato di sentirlo come il proprio candidato. Un’atipicità confermata poi anche dal fatto che il magnate è giunto alla presidenza senza mai avere assunto in precedenza alcuna altra carica elettiva, né a livello locale né nazionale.

Il suo successo deriva dall’aver saputo cavalcare la crescente antipolitica e il rigetto che larga parte della popolazione ha verso i partiti tradizionali. Le sue idee sono peraltro alquanto nebulose, avendo come obiettivo quello di tutelare il lavoro e la produzione industriale americana dall’incipiente mondializzazione senza che però sia chiaro con quali modalità intenda farlo. Non va peraltro dimenticato che Trump resta comunque il miliardario che si è costruito un’enorme fortuna economica proprio grazie a quel sistema di deregulation finanziaria che oggi mostra di voler avversare per difendere le classi lavoratrici delle regioni dei Grandi laghi. Le più colpite dalla deindustrializzazione, frutto anche dello strapotere di una finanza priva di regole.

Staremo dunque a vedere se una volta entrato alla Casa Bianca, il nuovo Presidente avrà davvero a cuore le reali esigenze del mondo del lavoro. Di positivo va comunque evidenziata la forte attenzione alle grandi opere pubbliche. L’America di oggi ha un estremo bisogno di rinnovare le proprie infrastrutture: dalle autostrade alle ferrovie, dagli acquedotti agli edifici scolastici e serve un robusto intervento pubblico che faccia da volano agli investimenti privati, riavviando lo sviluppo. Un po’ come accadde negli anni Cinquanta quando venne costruita la grande rete autostradale sui cui far camminare la motorizzazione di massa, peraltro ormai consolidata da almeno un decennio. Speriamo che Trump, rovesciando la strategia repubblicana, da anni decisamente contraria ad investire nelle infrastrutture pubbliche, proceda senza indugi in questa direzione.

Per il resto preoccupano le sue idee sul riscaldamento globale, che viene negato o quanto meno minimizzato. Il che fa pensare ad un ritorno in forza delle energie fossili e, contemporaneamente, alla messa in sordina di quelle rinnovabili. Lo stesso potrebbe accadere con le norme ambientali che i repubblicani sembrano considerare un inutile ostacolo alla produttività delle industrie. Anche in campo sociale c’è da stare in guardia poiché nel mirino potrebbe finire la riforma sanitaria di Obama, che ha esteso l’assicurazione a milioni di persone che prima ne erano prive. Saranno ovviamente i fatti a parlare e, certamente, tra qualche tempo, ne sapremo di più.

I fatti però ci dicono già oggi molte cose. Militari, industriali e uomini della finanza vanno ad occupare, quasi rimpiazzando i normali esponenti della classe politica, i primi posti della nuova amministrazione. In misura ben maggiore che in passato. Emblematica la nomina di ben tre generali nei posti chiave della Difesa, della Sicurezza nazionale e di quella interna; altrettanto lo è l’arrivo di due banchieri al Tesoro e al Commercio estero. La carica di segretario di Stato affidata all’ex amministratore delegato della Esso, Rex Tillerson, la dice infine lunga sulla forza dirompente della lobby del petrolio.

Una calata in massa dei grandi potentati economici come mai non era accaduto prima, di fronte alla quale viene in mente quanto affermato dal repubblicano Dwight Eisenhower, nel 1961, al momento di lasciare la Casa Bianca. Egli, che pure era un generale, o forse proprio per questo, parlò di un complesso militare-industriale capace di condizionare con i propri interessi e il proprio incontrollato potere le decisioni della politica. Un grave rischio, disse, per la vita democratica della nazione. Parole profetiche su cui riflettere, per la loro perenne attualità.

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