Parigi, un anno dopo

Qualcuno dice che per capire in che direzione va Parigi bisogna osservare le pubblicità nella metro. In effetti la pubblicità in generale è uno specchio abbastanza fedele della società e delle sue tendenze, percepisce i nostri umori e ci indirizza in modo accattivante e un po’ subdolo. E nella sterminata rete sotterranea parigina sembrano prevalere i manifesti che reclamizzano materassi e servizi di food delivery, i fattorini che ti portano a casa il cibo scelto in uno dei numerosi ristoranti aderenti all’iniziativa. È possibile che il messaggio sia quello di stare rilassati nelle proprie case, al sicuro, facendosi portare il cibo a domicilio anziché andare al ristorante? La domanda non è così oziosa come potrebbe sembrare, a un anno di distanza dai sanguinosi attentati che hanno ferito Parigi, rischiando di incidere non poco sul suo modo di vivere e portando alcuni cambiamenti fino a poco tempo fa impensabili nella capitale francese.

La sera del 13 novembre 2015 Parigi fu vittima di una serie di attacchi terroristici di matrice islamica fondamentalista, eseguiti da alcune cellule armate legate all’Isis, il sedicente Stato islamico radicato a cavallo tra Siria e Iraq il quale, attraverso internet, è riuscito ad attivare una serie di fanatici sparsi ovunque, metastasi incontrollabili e pericolose del male localizzato nel Vicino Oriente. Gli attentati interessarono lo Stade de France, a Saint-Denis, dove era in programma una partita della Nazionale, e una serie di locali nel I, X e XI arrondissement. Compiuti da una decina di persone fra kamikaze e combattenti jihadisti, i vari attacchi sono risultati la più grave aggressione alla Francia dall’epoca della seconda guerra mondiale, inferiori per numero di vittime in Unione europea solo agli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid. Particolarmente feroce il massacro avvenuto al teatro Bataclan, con novantatrè vittime fra gli spettatori del concerto rock in programma. Tra queste, Valeria Solesin, una ragazza veneziana di ventotto anni, unica vittima italiana. A un anno di distanza, è stata istituita una borsa di studio a suo nome, per valorizzare giovani talenti che seguano le sue orme di ricercatrice alla Sorbona, la prestigiosa Università parigina. Contemporaneamente, il Bataclan ha riaperto con un concerto i cui proventi saranno devoluti alle associazioni che si occupano di assistere i sopravvissuti di quella tragica sera, aiutandoli a superare l’indelebile shock subìto. Segnali importanti, perché partono proprio dalle persone e dai luoghi che hanno vissuto in prima linea la ferocia degli attentati e le drammatiche conseguenze.

Ma altrettanto significativa è la reazione collettiva della città, che non sembra aver stravolto il proprio stile di vita, nonostante alcune variazioni evidenti, che un po’ stridono con l’anima libertaria e spensierata della capitale francese, impensabili qualche anno fa, ma forse strascico inevitabile dopo che, nel corso degli attentati, lo stesso presidente Hollande aveva dichiarato lo stato di emergenza in tutta la Francia, annunciando anche la contestuale chiusura temporanea delle frontiere. I parigini non hanno smesso di uscire e frequentare bistrò e ristoranti coi relativi dehors affacciati sui marciapiedi, incuranti del freddo pungente e del traffico caotico che “sgasa” a pochi metri. Del resto, ci spiega chi conosce bene la città, i prezzi degli immobili sono elevatissimi, e sono in pochi a potersi permettere alloggi di ampia metratura: la maggior parte delle abitazioni sono minuscole, per cui invitare gli amici a casa è poco pratico, meglio ritrovarsi a cena fuori, dove le tavolate di parigini sono forse anche più numerose di quelle di un turismo che comunque non mostra flessioni.

Indubbiamente fa strano scorgere ogni tanto qualche drappello di militari che pattuglia le strade in assetto di guerra, non sai bene se sentirti tutelato o inquieto, ma del resto dopo le gravi ferite dell’ultimo anno è inevitabile adottare misure di deterrenza o che almeno diano l’impressione che si cerca di proteggere l’incolumità delle persone. Dunque ecco i controlli di routine all’ingresso dei centri commerciali e dei musei, o la spasmodica attenzione verso qualunque bagaglio apparentemente incustodito. La paura è che possa trattarsi di un pacco-bomba, un timore che al Musee d’Orsay ha portato alla decisione di vietare l’introduzione degli zainetti, che non possono nemmeno essere depositati al guardaroba, come invece è possibile fare al Louvre.

Tutto sommato piccoli disagi, che non incidono più di tanto sulla quotidianità degli abitanti o sulle escursioni dei turisti. E che non snaturano l’anima di una città orgogliosa della propria tradizione repubblicana maturata nella Rivoluzione francese e ripresa dall’esperienza innovativa della Comune, il movimento di socialdemocrazia diretta che occupò Parigi per poco più di due mesi nel 1871, prima di essere stroncata nel sangue da un potere monarchico che non tollerava la possibilità di instaurare un differente paradigma socio-politico. Allora le vittime della repressione furono oltre 20.000, tuttavia questo non fermò il cammino della Storia, la Repubblica alla fine si impose ugualmente. E tuttora Parigi, con la sua anima gioiosa e accogliente, resta un faro importante della democrazia e dei valori dell’Occidente. Nemmeno le stragi dei fanatici oscurantisti che vorrebbero ripiombarci in un medioevo di cupo integralismo sono riuscite a spegnere la luce intrinseca della Ville Lumiere.

 

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