La strage di Nizza e le responsabilità occidentali per la crescita dell’Isis

 

Ancora una volta l’orrore irrompe nella nostra quotidianità, con la cronaca dell’ennesima strage terrorista. Questa volta è successo a Nizza, principale città della Costa Azzurra, durante i festeggiamenti per il 14 luglio, festa nazionale francese, dove un assassino si è scaraventato con un autotreno sulle persone che affollavano il lungomare, provocando decine di morti e feriti, fra i quali anche molti bambini. È l’ennesimo attentato di ispirazione jihadista, una lunga scia di sangue che pare inarrestabile e che provoca emozioni forti e contrastanti, dall’indignazione alla paura, dallo sconcerto all’odio, rischiando di offuscare nello sgomento la nostra capacità di raziocinio.

Ma anche nel momento del dolore, dello sconcerto e magari della rabbia, qualche ragionamento si impone, per inquadrare la situazione, capirne le cause, provare a cercare soluzioni, o almeno evitare di commettere gli stessi errori. La prima cosa da non fare, è scivolare negli estremismi, che è esattamente ciò che i terroristi vogliono. Queste stragi mirate di civili hanno il deliberato scopo di esasperare gli animi e scavare divisioni profonde, in particolare fra Occidente e islam, intento in parte già raggiunto, basti vedere l’enorme crescita di consensi registrata da tutte le formazioni politiche xenofobe, razziste e destrorse che cavalcano con cinismo la situazione fomentando proteste e paure, per poi proporre soluzioni semplicistiche o inattuabili, buone solo a livello di slogan, ma che fanno presa su fette sempre più ampie di elettorato.

Sul lato opposto, una comunità musulmana che vede crescere l’intolleranza nei propri confronti in maniera di fatto ingiustificata, col rischio di ampliare le fasce di radicalizzazione di una religione non scevra da fattori di rischio. Perché, come ha detto qualcuno, “se è vero che non tutti i musulmani sono terroristi, è vero che tutti i terroristi sono musulmani” o, almeno, questa è la percezione dominante. In effetti, l’islam presenta almeno due fattori critici: l’esistenza del precetto del jihad, che può essere inteso come “sforzo” mistico verso la spiritualità, ma che più spesso viene declinato nell’accezione ben più pericolosa di “guerra santa” e la totale mancanza di un processo riformista e di secolarizzazione quale quello che ha invece interessato il cristianesimo, che preveda almeno il principio di separazione fra Stato e Chiesa.

Detto questo, bisogna evitare di cadere nella trappola della “guerra di religione”, verso la quale peraltro spingono in parecchi, per ignoranza o interesse, e che per i fondamentalisti sarebbe una vittoria enorme. Questo perché attualmente gli jihadisti propriamente detti possono essere quantificati (molto approssimativamente) nell’ordine di poche centinaia di migliaia di fanatici. Un numero elevato e preoccupante, da non sottovalutare e combattere con ogni mezzo, ma molto meno del miliardo e passa di musulmani che qualcuno vorrebbe classificare indistintamente come “nemici” e che invece sarebbe meglio avere come alleati contro questi estremisti.

Evitare di colpevolizzare la comunità musulmana nel suo insieme è quindi d’obbligo, e ciò vale anche per l’accusa ricorrente che viene loro rivolta di non prendere abbastanza le distanze dai terroristi, o di non solidarizzare a sufficienze con l’Occidente in occasione di queste stragi. La realtà, scomoda, ma ineluttabile, è ben diversa, per varie ragioni. La prima è che tali prese di posizione esistono, ma sono ben poco evidenziate dai nostri media. La seconda è che l’Occidente, anche se continua a credersi tale, non è più il centro del mondo, e non può aspettarsi l’attenzione che vorrebbe, specie da chi ha già i propri guai. Qualcuno ha infatti calcolato che nell’ultimo anno ci sono stati qualcosa come 12.000 attentati, cioè mille al mese, solo una minima parte dei quali ha interessato Europa e Usa. Ma quando le stragi avvengono altrove, ben raramente ce ne accorgiamo, e ancor meno ci preoccupiamo e solidarizziamo. Molti si sono sentiti “Charlie” quando è stata colpita la redazione di un giornale satirico a Parigi, ma quanti si sono mossi a manifestare per la strage in una scuola del Kenia, nell’aprile 2015, quando i fanatici islamisti di al-Shabaab massacrarono oltre 140 studenti cristiani inermi, dopo averli separati dai loro compagni musulmani? Diventa difficile aspettarsi la solidarietà altrui, quando siamo così restii a concedere la nostra, sia nei confronti delle vittime musulmane dei fondamentalisti (molto più numerose di quelle occidentali), sia verso i profughi che cercano scampo dalle guerre fuggendo nei nostri Paesi, costringendoli a farlo in condizioni disagiate e pericolose per poi cercare di respingerli additandoli come “invasori”.

Ma ancor più che su queste considerazioni di ordine generale, vale la pena soffermarsi su qualcosa di molto più specifico e attinente alla situazione attuale, quella che vede l’Isis, il sedicente “Stato islamico”, alla radice di gran parte degli attentati dell’ultimo periodo. La nuova organizzazione terroristica vede replicarsi, in maniera ancora più ampia e feroce, gli stessi schemi che avevano caratterizzato al-Qaeda nello scorso decennio. La formazione jihadista precedente, responsabile del traumatico attacco alle Torri Gemelle di New York e oggi di fatto marginalizzata e in parte cannibalizzata dall’Isis, era guidata da Osama bin Laden, un saudita addestrato dai servizi segreti Usa in funzione antisovietica nel conflitto afgano. Ma quando si scherza col fuoco si rischia di bruciarsi, perché è molto problematico controllare i fanatici messi in moto per i propri disegni strategici. Allo stesso modo, il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi ha iniziato le sue gesta nell’Iraq devastato dalla guerra voluta da Bush jr. con motivazioni pretestuose. Ai tempi di Saddam Hussein, tiranno certo feroce ed esecrabile, l’Iraq era scevro da derive islamiste. Nel caos del dopoguerra, il fondamentalismo ha invece trovato terreno fertile per crescere, complice la stessa gestione americana. Infatti al-Baghdadi era fra i prigionieri detenuti dall’esercito Usa, ma venne rilasciato: semplice dabbenaggine di chi non riconobbe la sua pericolosità, o l’intento di farne un nuovo bin Laden?

Anche ammettendo la buona fede, è un fatto che l’Occidente intero, Stati Uniti in testa, ha permesso che l’Isis ampliasse a dismisura le proprie conquiste nell’arco di svariati mesi, senza contrastarlo in maniera decisa, e permettendogli di trasformarsi da organizzazione terroristica in nazione. Lo “Stato islamico” si è accresciuto come un’enorme massa tumorale a cavallo fra Siria e Iraq, tollerato (quando non appoggiato, più o meno indirettamente, specie dalla Turchia) in funzione anti-Assad, nel tentativo di far cadere il dittatore siriano. Un obiettivo a lungo perseguito dagli “strateghi” del Pentagono, che ancora una volta si sono mostrati tanto cinici quanto miopi, divenendo corresponsabili della sequela di tragedie attuali. Perché il fatto di diventare un’entità statale con un’avanzata apparentemente invincibile, ha permesso all’Isis di ampliare enormemente la sua visibilità e influenza, ben oltre la presenza pur ampia e pervasiva sui social network.

L’esistenza di un luogo fisico dove dare corpo alle proprie pulsioni di violenza ha immediatamente richiamato orde di “foreign fighters” dall’estero, gente in precedenza ben più propensa a delinquere che a seguire i precetti religiosi, assassini che sono poi spesso tornati nei Paesi d’origine ad esportare il terrore. Poi, dopo che la Russia è intervenuta decisamente a fianco di Assad, permettendo all’esercito siriano di riconquistare in poco tempo gran parte del terreno perduto, gli Usa hanno dovuto cambiare rapidamente strategia, appoggiando a loro volta l’avanzata delle truppe regolari irachene. In poche settimane l’Isis ha perso gran parte dei territori sottomessi, segno evidente che un’azione decisa avrebbe potuto stroncarlo sul nascere, o comunque ben prima che prendesse il controllo di zone ampie e strategiche. Ma a questo punto l’ormai ex Stato islamico ha nuovamente puntato su un modus operandi più tipico delle organizzazioni terroristiche, esortando gli adepti reclutati via web a colpire ovunque, come metastasi impazzite e letali di un cancro su cui si è intervenuti con colpevole ritardo.

In questo modo (come già avveniva per al-Qaeda) qualunque esaltato, disadattato, paranoico, emarginato o semplicemente omicida, può colpire ovunque in nome della “guerra santa”, certo che l’Isis non mancherà di glorificare le sue gesta, permettendogli di concludere in modo eclatante una vita spesso emarginata e meschina e magari, chissà, finire nel paradiso dei martiri. È più o meno quello che è già successo negli Usa, nella stessa Francia, un po’ ovunque nel mondo e ora a Nizza, e subito dopo in Kenya. E che rischia di succedere ancora, se non stronchiamo alla svelta l’Isis e gli altri fondamentalismi alla radice, mentre dall’altro lato impariamo a convivere meglio con la comunità musulmana, e loro con noi.

 

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.