Referendum: chi ha perso davvero

Conoscere per deliberare” diceva Luigi Einaudi. L’affermazione della conoscenza come fondamento di scelte consapevoli dovrebbe costituire una delle colonne portanti di ogni sistema democratico. Purtroppo questo principio, certo mai completato rispettato, viene sempre più disatteso e gli effetti che ne risultano rischiano di indebolire irrimediabilmente la nostra democrazia.

Il caso del referendum sulle trivelle ha purtroppo confermato questa tendenza. Stando strettamente alla lettera del quesito, qualcuno ha potuto sostenere che la specificità dello stesso ne  ostacolasse la comprensione e non rendesse opportuno sottoporlo al giudizio dei cittadini. Ma proprio la quasi totale assenza di un serio dibattito sui principali media, che collocasse il quesito nel contesto fondamentale delle politiche energetiche e ambientali che il referendum, nei fatti, poneva, ha potentemente determinato l’astensione dal voto di oltre due terzi degli elettori.

Inoltre, le determinazione delle classi dirigenti nello svilire gli strumenti di democrazia diretta, in questo caso si è manifestata con clamorosa evidenza. Un governo che indice in tutta fretta il referendum, lasciando pochissimo spazio per un ampio e diffuso dibattito e che per giunta invita esplicitamente ad astenersi dal voto, pone le basi per giocare una partita truccata, nella quale avrà facilmente buon gioco.

E risulta francamente irritante ascoltare le dichiarazioni trionfanti post voto del Presidente del Consiglio, che arbitrariamente vuole appropriarsi dell’astensione di decine di milioni di persone, quasi che queste, in toto, condividessero l’operato del suo governo. Forse Renzi dimentica che il 40%  preso dal suo Pd alle Europee del 2014 è stato ottenuto solamente su una base del 55% degli aventi diritto (considerando gli astenuti e le schede bianche e nulle).

Desta stupore anche l’atteggiamento pro astensione di autorevoli personaggi quali  l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, o l’ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Se non altro per l’esperienza maturata in decenni di vita politica,  per l’aver vissuto gli anni della dittatura fascista, per  il peso che le loro parole assumono, avrebbero forse dovuto meglio meditare prima di sollecitare gli italiani al non voto. Anzi, visto che le parole di Einaudi dovrebbero conoscerle molto bene, meglio avrebbero fatto a criticare le modalità poco democratiche con le quali si è svolta la campagna referendaria. Votare Si, No, al limite astenersi, è espressione democratica solo se il gioco si svolge in modo corretto, dando a chi si deve esprimere la concreta possibilità di informarsi.

L’impressione è che molti, troppi, esponenti della classe dirigente vogliano disincentivare la partecipazione popolare. “Lasciate fare a noi che sappiamo” paiono voler dire con il loro operato.  Il populismo che loro stessi, a parole, criticano viene nei fatti alimentato. E la possibilità di una trasformazione degli italiani da cittadini consapevoli a plebe arrabbiata diventa sempre più grande, col rischio che ad essere sconfitta sia la nostra democrazia.

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