Una grande giornata di democrazia

Come era abbastanza prevedibile, nel referendum sulle trivelle marine, il quorum non è stato raggiunto. Al di là del risultato, la consultazione di domenica è stata comunque una grande giornata di democrazia. Quando si mobilitano 14 milioni di persone, sapendo che con molte probabilità lo sforzo rischia di essere vano, significa che in gioco c’è una questione importante e la partecipazione stessa fornisce prova della nostra vitalità democratica.

Adesso, come sempre accade, assistiamo, all’eterna diatriba tra vincitori e vinti; neanche stessimo parlando di una partita di calcio. A vincere – diciamolo con la massima chiarezza – è stato il buon senso. Quello che sempre emerge, in qualunque libera votazione popolare. Vi è, per così dire, una profonda saggezza nel suffragio universale perchè la gente che vota, che decide, in un senso o nell’altro, o che sceglie (come nel caso di una consultazione soggetta ad un quorum) di non andare alle urne, reca con sé il valore di fondo di quel pluralismo che fa la ricchezza di un’autentica democrazia. E questo a dispetto di coloro che non perdono occasione per restringere la sfera decisionale dei cittadini: basti pensare alla sconcezza sancita nella nuova legge elettorale con i capilista bloccati, scelti cioè dalla partitocrazia e non tramite una libera preferenza.

Nei referendum abrogativi le nostre regole costituzionali prevedono il quorum, ossia una soglia di partecipazione minima di persone per rendere valida la votazione. Molti storcono il naso, vedendovi una limitazione della democrazia diretta. Eppure, a rifletterci a fondo, è davvero un bene che sia così. Non appare infatti sensato che una minoranza organizzata possa riuscire a imporre il proprio punto di vista sulla maggioranza della popolazione, cosa che succederebbe qualora non fosse opportunamente previsto il correttivo del quorum. In pratica – questo lo spirito con cui venne concepito l’istituto referendario – si richiede che il tema trattato sia davvero di rilevanza generale, in grado di portare alle urne almeno il 50 per cento della popolazione.

E’ dunque onesto ammettere che il tema delle trivellazioni marine non è stato considerato di soverchia importanza dalla maggioranza della popolazione. Detto questo bisogna però anche aggiungere che la questione è stata messa un po’ in sordina. Il governo, venendo meno a quel dovere istituzionale (che dovrebbe essergli proprio) di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ha preferito ripiegare sul disinteresse generale. Si è puntato più sulla scorciatoia del disimpegno che non sulla via maestra della vivacità del dibattito. Spiace constatare che è prevalsa una visione miope, non immune da mediocri calcoli politici e questo indipendentemente dal merito della contesa.

Ad urne chiuse vanno evitate due tentazioni. La prima è quella di chi vuole intestarsi il successo, quasi immaginando che il sereno esito referendario possa offrire il destro per una scomposta resa di conti con qualcuno. La seconda è quella di chi invece immagina che i milioni di votanti al referendum rappresentino meccanicamente il fronte degli anti-renziani, da arruolare in una permanente opposizione al governo e al presidente del Consiglio.

Due tentazioni, in fondo speculari, perchè entrambe pensano di giocare allo scontro permanente sulla pelle del Paese. Meglio invece pensare al voto di domenica semplicemente per quello che è: una grande e bella prova di democrazia perchè, comunque vada, il responso dei cittadini va sempre ascoltato con rispetto e serietà.

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