Il ballo del mattone

Il “ballo del mattone” era il titolo di un simpatico motivo degli anni Sessanta. Oggi, mezzo secolo dopo, il mattone ballerino è invece diventato l’emblema della sconcertante politica sulla casa tenuta dai vari governi che si sono susseguiti negli ultimi dieci anni. Da troppo tempo la tassazione immobiliare è oggetto di continui mutamenti di rotta, dalle aliquote al campo di applicazione, senza giungere mai ad un punto fermo. Davvero difficile per i cittadini comprendere il senso di questi continui cambiamenti.

Ricordiamo, tanto per riassumere per sommi capi la questione, che dapprima vi fu l’Ici, introdotta agli inizi degli anni Novanta, con opportune detrazioni per la prima casa. L’imposta fu quindi abolita dal governo Berlusconi e poi ripristinata come Imu, con aliquote e base di calcolo maggiorate, sotto la presidenza Monti. In seguito, nel 2013 il governo Letta, la modificò nuovamente modificata, aprendo una lunga diatriba su come giungere ad una tassazione onnicomprensiva dell’intera materia.

Si fece l’ipotesi di accorpare l’imposta immobiliare con quella dei servizi locali, chiamando a contribuirvi anche gli inquilini. In poche settimane fiorirono le sigle più fantasiose per denominare la nuova imposta per poi, alla fine, lasciare in piedi l’Imu per le seconde case e assoggettando le abitazioni principali alla neonata Tasi che adesso, l’ultima Legge di stabilità ha deciso di cancellare. Siamo di fronte ad un enorme guazzabuglio nel quale i cittadini non si raccapezzano più, sollevati soltanto dal pagamento della detestata imposta sulla prima casa. Il fatto è che in materia immobiliare vi è troppa demagogia e davvero poca chiarezza.

Intanto va evidenziato che una qualche forma di tassazione sulla prima casa è ampiamente diffusa in Europa ed è presente persino negli Stati Uniti, come tributo sui patrimoni. Beni che si considera normale sottoporre ad imposizione, in nome di una generale equità sociale. D’altronde è anche una questione di logica fiscale. Così come vengono tassati i redditi ed i consumi, risulta altrettanto ragionevole tassare i patrimoni e dunque le abitazioni, comprese quelle principali. Salvo, ovviamente, tenere conto dei carichi familiari, che peraltro, ma questo è un’altra faccenda, dovrebbero aver maggior rilievo anche nell’imposta sul reddito.

In secondo luogo la tassazione degli immobili ha senso poiché è legata al territorio, rappresentando, specie se accorpata con quella dei servizi, la più idonea forma di imposizione locale, avendo tra l’altro, il grande pregio di essere di difficile evasione. Una tassazione locale, connessa al livello dei servizi pubblici offerti e, dunque, capace di instaurare un rapporto virtuoso tra eletti ed elettori, come buon esempio di federalismo fiscale. Certo, sorge il problema dell’equità. E qui, in fondo, si trova la vera scommessa di un governo dotato di un autentico profilo riformatore.

Tutti sanno infatti che le rendite da cui parte la base di calcolo dell’imposta non corrispondono al reale valore di mercato degli immobili. Succede che molti appartamenti dei centri storici abbiano una rendita inferiore a quella degli alloggi dei quartieri semiperiferici. Qualsiasi serio discorso sulla tassazione immobiliare deve quindi venir preceduto da una riforma catastale con la revisione di tutte le rendite, occasione anche per passare dall’attuale, ed obsoleta, misurazione per vani a quella, assai più razionale, per metri quadrati. Un’opera, quella sul catasto, immane e largamente incompiuta ma che, in un orizzonte di lungo periodo, come sempre dovrebbe collocarsi l’azione politica, sarebbe anche l’effettivo segnale dell’ammodernamento del nostro sistema tributario, secondo canoni di efficienza ed equità.

Invece si continua a pensare alla casa esclusivamente come bene rifugio, con la politica all’inseguimento di un effimero populismo che mostra poi la corda quando si scopre che lo sconto fiscale sulle abitazioni principali viene assorbito dall’aumento dei ticket sanitari. La scelta del governo, diversamente dagli auspici dell’Unione europea, è stata quella di sgravare il mattone, ma in definitiva si è indebolita l’unica forma di tassazione locale degna di questo nome, sottraendo risorse che era meglio destinare alle imprese e rinunciando, per di più, a qualsiasi riforma del sistema immobiliare nel suo complesso. Un’occasione mancata; l’ennesima della politica italiana.

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