Una classe politica sempre più egocentrica

L’ego-politique” è l’ultimo libro del politologo Christian Le Bart (ed. Armand Colin), titolo di cui non serve alcuna traduzione, tanto risulta chiaro il tema affrontato. In pratica l’analisi di un fenomeno sempre più diffuso, in Francia (oggetto dell’indagine) come altrove: i partiti risultano assai più deboli di un tempo sia come apparato ideologico che come capacità organizzativa e ad essi si è sostituita una logica individualista nella quale ciò che conta è soltanto la scalata personale. In quest’ottica distorta, il vero rivale da battere non è più, come sarebbe ovvio, situato nel campo politico avverso ma si trova all’interno del proprio partito, in una contesa nella quale l’ambizione del singolo oscura tutto il resto, all’insegna di un becero “togliti di mezzo che mi ci metto io”.

La panoramica sulla realtà francese è, sotto questo punto di vista, emblematica. A destra come a sinistra sempre meno la politica è vissuta come un progetto collettivo, in cui naturalmente deve poi emergere la necessaria leadership, e sempre più si assiste ad autentiche lotte fratricide in cui si cerca di prevalere ad ogni costo sui propri colleghi di partito. Qualcosa che in parte esisteva già in passato, anche se a livello di coalizione e non di singola formazione politica. Basti pensare alla vecchia rivalità tra Rpr e Udf , tra Chirac e Giscard, pronto il primo a far addirittura perdere le presidenziali al secondo, aprendo la strada alla sinistra, pur di rimanere il solo ed incontrastato leader del centro-destra, non importa se ridotto – come lo fu per anni – ad un cumulo di macerie. Oggi però le cose avvengono addirittura entro lo stesso partito e con una virulenza mai vista prima.

Nelle fila socialiste si è assistito, pochi anni fa, alla lotta tra Martine Aubry, Laurent Fabius e Dominique Strauss-Kahn, in un fuoco incrociato che ha finito poi per annullare i tre contendenti, aprendo la strada a François Hollande, che fino a poco tempo prima della sua investitura per l’Eliseo veniva considerato al massimo un simpatico comprimario. A decidere la sua candidatura furono le primarie, strumento troppo frettolosamente importato dall’America (realtà assai diversa da quella europea) e sempre più spesso fonte di inattesi ed indesiderati effetti collaterali. Un insieme di controindicazioni, una peggio dell’altra: dall’accrescersi della conflittualità interna ai partiti alla frenesia dei candidati nel differenziarsi ad ogni costo, dalla difficoltà a stabilire in maniera univoca un programma condiviso al rischio che qualsiasi divergenza giunga fino alla rottura e magari alla fuoriuscita dal partito, verso nuovi ed illusori approdi, sempre più individuali.

Un po’ quello che sta avvenendo nei Repubblicani con una sfida sempre più ad alta tensione tra i diversi concorrenti alla candidatura per l’Eliseo: Nicolas Sarkozy, François Fillon e Alain Juppè. In altri epoche, quando a contare era soprattutto il partito, inteso come organizzazione degli iscritti, il candidato naturale sarebbe stato il suo presidente, ovvero Sarkozy. Adesso invece tutto sarà deciso con le primarie in una competizione che già si annuncia l’anticamera di future polemiche visto che Juppè è arrivato a dire, in una recente intervista a Le Monde, che qualora si trovasse ad avere il sospetto di qualche irregolarità nello svolgimento del voto sarebbe disposto a mantenere comunque in piedi la propria candidatura (a rischio di far eliminare il centro-destra al primo turno). Quasi una dichiarazione di guerra preventiva, in un’atmosfera ogni giorno più pesante dove nessuno dei candidati parla di programmi mentre, evidenti come non mai, emergono smisurate ambizioni personali penosamente mascherate da generiche aspirazioni al bene del Paese. Peggio ancora sta succedendo nel Fronte nazionale con il regolamento dei conti (come chiamarlo in altro modo?) tra Marine e Jean-Marie Le Pen, in uno scontro familiare che fa onore a nessuno.

Questo, dunque, il quadro. “L’inferno sono i nostri” verrebbe da dire parafrasando un famoso detto di Sartre e in effetti un po’ ovunque nel mondo politico sta emergendo un ego imperante, incontenibile nel suo manifestarsi, a distorcere il rapporto con gli elettori, a distogliere lo sguardo dai veri problemi del Paese, ad aumentare in modo insopportabile la demagogia e la superficialità nelle soluzioni proposte. Davvero un serio problema per la qualità della nostra democrazia.

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