L’Italia nella prima guerra mondiale: il centenario di un’inutile strage

Nelle scorse settimane si è ricordato il centenario dell’ingresso dell’ Italia nella prima guerra mondiale, la cui data si fa convenzionalmente risalire al 24 maggio 1915.

E’ ormai opinione comune che gli anni 1914-1918 rappresentarono un’immane tragedia per buona parte dell’umanità, ed in particolare per molti stati europei: infatti i progressi della tecnica, avvenuti nei decenni precedenti, portarono all’utilizzo di scoperte scientifiche e di realizzazioni tecnologiche anche in campo militare: carri armati, sottomarini, aerei, gas, ecc., … elementi tali da esasperare pesantemente i danni di un conflitto rispetto a quelli fino a prima di allora sperimentati.

Non ci fu, ancora, il terribile avvicinamento e coinvolgimento, diretto ed immediato, di popolazioni civili nei drammi della guerra, come invece avverrà nel secondo conflitto, ma ancora oggi, nei piccoli paesi di tanta Europa, leggiamo, sulle dignitose lapidi che li ricordano, che i caduti (militari) della prima guerra mondiale furono ben più superiori di quelli della seconda (in questo triste conteggio sono escluse le vittime civili e i morti nei campi di concentramento e di sterminio, che fanno – purtroppo- crescere in termine esponenziale il conteggio dei morti).

La retorica, e le varie vicende politiche del XX secolo, hanno generalmente dato – nelle nazioni vincitrici- una valutazione positiva di quell’ immane tragedia, che Benedetto XV – il pontefice di allora- definì “un’inutile strage”, definizione giustamente ripresa oggi anche da papa Francesco. Allo stato attuale le considerazioni su quegli anni sono più obiettive e meno trionfalistiche di un tempo, tuttavia permangono, in alcuni commentatori, almeno due considerazioni “positive” (se è possibile usare questo aggettivo) sulla necessità italiana di entrare in guerra: l’esigenza del completamento dell’ unità nazionale (ultima guerra d’indipendenza) e un contributo (a posteriori) al consolidamento della recente – all’ epoca- identità dello stato unitario, attraverso la presa di coscienza di una nuova entità collettiva condivisa, proprio per effetto della partecipazione al conflitto. Sembra qui opportuno tentare di confutarle entrambe.

Il fatto che la guerra rappresentasse l’inevitabile completamento dell’unità nazionale, con la “redenzione” di territori ancora sotto il regime austriaco, è una forzatura. La fine del conflitto lasciò ancora in piedi la questione della Dalmazia e di Fiume (“risolta” solo nel 1919 e poi nuovamente “irrisolta” nel secondo dopoguerra), e portò all’annessione forzata all’ Italia di territori alto-atesini di lingua tedesca, la cui “soluzione” si ebbe solo dopo la seconda guerra mondiale (col cosiddetto accordo “De Gasperi – Gruber” del 1946). Inoltre, se da una parte si parlò di “vittoria mutilata”, da un’altra, i duri trattati di “pace” crearono molti dei presupposti del secondo conflitto. E’, ormai, opinione comune diffusa che un giusto completamento dell’unità territoriale nazionale si sarebbe potuto ugualmente raggiungere, a posteriori, con trattati internazionali, senza l’entrata in guerra dell’ Italia.

L’ altra considerazione (che il conflitto facilitò la coesione della giovane nazione) è ancora più forzata: si deve andare al di là delle caratterizzazioni artistiche di Gassman e Sordi nel film “La grande guerra” (1959, cioè ben più tardi …). Il paese non fu maggiormente unificato dai morti e dai sacrifici del periodo 1915-1918: i successivi, turbolenti, anni, che portarono alla dittatura fascista, mostrarono un’ Italia profondamente divisa per classi, regioni, ideologie, ceti politici ed altro ancora,…. Sarebbe, quindi, ora utile chiederci quando è avvenuta una vera e propria “coesione nazionale”: per questioni di spazio non possiamo ora approfondire (potrebbe essere argomento di un prossimo articolo,…), ma si può farne risalire un notevole consolidamento (anche se ancora parziale) solo agli anni del “boom economico”. Ma, ancora oggi, siamo una vera e propria nazione coesa?

Ugualmente, sarebbe anche da approfondire come mai, in questi periodi di ricorrenze, in Italia, passi sostanzialmente inosservato il bicentenario della chiusura del “Congresso di Vienna” (1814-1815), che chiuse l’ epoca napoleonica, evento – invece- celebrato con una grande mostra a Vienna, nella splendida cornice palazzo del Belvedere, che fu del principe Eugenio: ironia, un Savoia che stava dalla parte degli austriaci…. Congresso che, con alcune sue miopie, creò tensioni e drammi che si ripercossero nel resto di quel secolo e contribuirono anche ad accrescere la cosiddetta “politica di potenza” e di competizione, che fu tra le cause della prima guerra mondiale Altro possibile argomento da riprendere.

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