Banche popolari, cambiare verso alla riforma

Alcuni degli obiettivi che il Governo ha indicato per la riforma delle banche popolali e di credito cooperativo sono condivisibili. Per esempio, quello di dare più credito a imprese e famiglie. Ma questo non lo si realizza creando le condizioni per le scorribande dei grandi capitali speculativi, permettendo loro di procedere all’acquisizione e alla fusione delle piccole banche che sono quelle più legate al territorio e che erogano più credito all’economia reale, alle famiglie, alle imprese, al terzo settore.
Il progetto di riforma delle banche popolari appare andare nella direzione opposta agli obiettivi che dichiara di voler raggiungere. Questa è una delle ragioni per cui va ritirato. Ma non l’unica.
L’aver coinvolto nella riforma solo le maggiori banche popolari ha dato due messaggi molto negativi. Il primo agli speculatori che hanno fatto salire la quotazione dei titoli di alcune fra le banche che sarebbero interessate dalla riforma. Il secondo messaggio negativo è di ordine culturale, prima ancora che economico: le piccole banche agiscano pure secondo criteri di mutualità e di radicamento sul territorio, ma poi quando il gioco si fa duro, quando le cifre in gioco cominciano ad essere importanti, i capitali speculativi vengono aiutati a prendere il controllo, insieme alle risorse, di queste esperienze di democrazia economica. In gioco c’è la libertà dei territori e delle comunità di autoorganizzarsi e di darsi degli strumenti, sostenibili ed in grado di stare sul mercato, atti a perseguire dei fini di cooperazione, di solidarietà, di sostegno allo sviluppo economico e sociale di un territorio, contro la libertà di razzia dei grandi operatori finanziari, che sarebbe consentita dal progetto di riforma governativo.
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità». Si tratta di non uscire dal dettame dell’articolo 45 della Costituzione, e di riconoscere la palese incostituzionalità di questo provvedimento sulle banche popolari.
Un progetto che appare inoltre vecchio, inattuale, inadatto a risolvere i problemi generati da questa crisi. Dopo anni di crisi gravissima prodotta da quei soggetti finanziari “troppo grandi per fallire”, è il tempo di adottare dei provvedimenti diametralmente opposti a quelli contenuti in questo decreto del Governo. Provvedimenti che vadano nella direzione di ridurre le dimensioni delle grandi banche d’affari; di renderle responsabili integralmente delle loro attività per non permettere più che creino buchi così grandi da dover essere ripianati dalla fiscalità generale, attraverso i tagli al welfare ed agli investimenti per lo sviluppo.
Servono oggi provvedimenti che facciano l’opposto di ciò che vuol fare il governo anche nella direzione di una rigida ed inflessibile separazione delle banche commerciali dalle banche d’affari, anziché consentire a queste ultime di poter scalare anche le banche popolari.
Per evitare questo occorre che il parlamento sancisca la contrarietà all’abolizione del voto capitario. Molti elementi suffragano la tesi che in questi anni il voto capitario abbia fatto da diga a quella ondata speculativa che sta portando alla povertà interi ceti sociali. Le vicende degli ultimi anni ci offrono molte ragioni per mantenerlo e nessuna per cancellarlo.
Occorre che il Governo ritiri il provvedimento sulle banche popolari. Ai parlamentari della Repubblica spetta il compito di non permettere mai che questo progetto possa andare in porto perché assesterebbe un durissimo colpo alla già barcollante economia italiana, rendendoci tutti più poveri, consentendo alla speculazione finanziaria internazionale di vampirizzare la residua ricchezza dei nostri territori.
Evitati questi pericoli, poi, si potranno benissimo trovare quegli accorgimenti che favoriscano il rinnovamento dei gruppi dirigenti delle banche popolari, auspicando che anche i maggiori gruppi economici e finanziari facciano lo stesso, ed un miglior funzionamento del voto capitario.

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