La nostra democrazia non sta bene

Come sta la nostra democrazia? Certamente non gode di buona salute. Innanzitutto la situazione è critica se la concepiamo come quell’insieme di processi istituzionali, economici e sociali che dovrebbero permettere la realizzazione di ogni persona, famiglia e comunità. Già il primo articolo della Costituzione che individua nel lavoro la condizione primaria di realizzazione umana rende evidente questo vulnus. Senza lavoro non si può realizzare la piena dignità umana, non si offre il proprio contributo allo sviluppo della comunità, non si può costruire un’indipendenza e la costruzione della prima cellula vitale della società ovvero la famiglia. Viene meno l’investimento per il futuro. Insomma l’ascensore sociale è fermo o meglio funziona solo dal piano terra in giù. Viene così meno la piena “cittadinanza” con i propri doveri e diritti.

Se poi democrazia è la possibilità di incidere politicamente è del tutto evidente che si è rotto il circuito virtuoso tra cittadini, partiti e istituzioni. Le varie leggi elettorali adottate negli ultimi venti anni hanno progressivamente scardinato questo rapporto contribuendo a creare una classe politica che oggi, con ragioni e torti, i cittadini percepiscono come una “casta” di privilegiati. L’introduzione delle primarie nel centrosinistra solo in parte colma questo vuoto. Occorre una legge elettorale che pur perseguendo obiettivi di maggiore stabilità recuperi il rapporto con cittadini sovrani e non sudditi. Le tante gravi inadempienze riformatrici cumulate in decenni di rinvii decisionali, evidenziano che la democrazia è sostanziale se produce fatti. Non basta favorire la partecipazione, occorre che essa porti decisioni in tempi coerenti rispetto alle urgenze date. Questo deriva dall’organizzazione dei processi ma soprattutto da una cultura politica che non deve concepire il blocco di governo come modalità di senso dello stare all’opposizione. Ad esempio le scadenze di bilancio di un ente locale devono essere rispettate; i lavori di valutazione dei dati devono prevedere tempi e modi per essere discussi e magari emendati ma il dissenso non può sempre divenire atto strumentale per impedire il governo. Peraltro le maggioranze non dovrebbero annullare gli ambiti di confronto.

A questi fattori distruttivi dobbiamo aggiungere una pressione tributaria ormai da spremitura e una burocrazia della pubblica amministrazione pesante e inefficiente. Inoltre, se oggi la nostra democrazia è in rapporto anche a quella della vasta comunità europea, dobbiamo anche qui rilevare che i cittadini sentono le istituzioni europee distanti e non valutabili. Questo vuoto favorisce la polemica dei movimenti che oggi imputano all’Unione Europea la colpa della crisi economica che viviamo. In questi giorni ne è testimone il forte risultato elettorale della destra in Francia. La nostra democrazia necessita quindi di una drastica terapia ri-costituente prima che la collera porti pericolosamente a ritenerla inutile.

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