Nuova legge elettorale: il modello spagnolo corretto

Con il cosiddetto porcellum abbiamo oggi in Italia una delle peggiori leggi elettorali possibili. Un bizzarro miscuglio di proporzionale e di maggioritario, con un premio del 55 per cento dei seggi attribuito alla coalizione che giunge in testa, indipendentemente dalla soglia di voti conseguiti. Per di più agli elettori non è consentito esprimere alcuna preferenza sui candidati in quanto vi è una lista bloccata, predisposta a monte dai vertici dei partiti. Inutile sottolineare, perchè sotto i nostri occhi, il livello della classe politica che ne deriva.

Occorre dunque cambiare prima possibile la legge elettorale e, in questo senso, il referendum fa davvero comodo, permettendo il ritorno al vecchio mattarellum, per tre quarti maggioritario e per il resto proporzionale. Un sistema non immune da difetti ma sempre meglio che l’attuale obbrobrio.

Detto questo, ci si può cominciare a chiedere quale possa essere la miglior legge elettorale per il nostro Paese. Per rispondere occorre innanzi tutto tenere a mente che un buon sistema di voto deve conciliare due importanti requisiti.

Il primo è la rappresentatività del Parlamento e ciò attiene alla sua capacità di rispecchiare, con una certa fedeltà, gli umori dell’elettorato, ovvero il peso che i cittadini danno alle diverse formazioni politiche in cui si riconoscono. Sotto questo profilo l’ideale è la proporzionale, in cui ogni partito ritrova in Parlamento la forza concessagli dagli elettori. Il suo difetto sta nel rischio di una certa frammentazione che può rendere difficile il costituirsi di una maggioranza di governo.

E qui veniamo al secondo aspetto di una buona legge elettorale che è, appunto, la capacità di permettere, il più rapidamente possibile, la nascita di maggioranze stabili ed omogenee per assicurare la governabilità. Da questo punto di vista il maggioritario offre normalmente più garanzie. Esso infatti favorisce il dispiegarsi di un sistema politico bipolare, nel quale si contrappongono due blocchi alternativi, in concorrenza tra loro per la guida del Paese. In pratica il modello in uso in quasi tutte le democrazie avanzate.

Certo a casa nostra il bipolarismo non sta funzionando bene, egemonizzato come è dalle ali estreme dei due schieramenti, in grado di ricattare le anime moderate delle rispettive coalizioni grazie all’enorme potere marginale fornitogli proprio dalla legge elettorale maggioritaria. Infatti per vincere occorre superare anche di un solo voto la coalizione avversa e si rende quindi necessario recuperare anche le forze più estremiste. Ne derivano larghissimi e disomogenei cartelli elettorali che si rivelano poi incapaci di governare.

In realtà il problema non è il modello bipolare in sé ma le modalità con cui lo abbiamo realizzato. L’errore che abbiamo commesso è aver fatto, per così dire, nascere il bipolarismo dal maggioritario anziché da un sistema proporzionale. In Spagna si è scelta questa seconda strada e i risultati sono assai più soddisfacenti che da noi.

La legge elettorale spagnola prevede un proporzionale puro, senza sbarramento e senza preferenze. Ad impedire l’eccessiva frammentazione, tipica di qualsiasi logica proporzionalista, concorrono però circoscrizioni elettorali di dimensioni ridotte. In ciascuna di esse, Madrid e Barcellona a parte, si eleggono mediamente cinque deputati per cui risultano premiati i partiti più grandi creando una dinamica bipolare che poi agevola la nascita di stabili maggioranze. Il ridotto numero di deputati da eleggere in ciascuna circoscrizione svolge, già da solo, un effetto sbarramento. Oltre ai maggiori partiti, diffusi a livello nazionale, questo modello agevola anche le formazioni ben radicate a livello locale, come i partiti nazionalisti baschi e catalani, consentendo una piena rappresentanza delle minoranze.

A ben vedere quello spagnolo può essere davvero quello più adatto a noi, magari apportandovi qualche correzione. La nostra variante potrebbe allora essere un proporzionale con circoscrizioni un po’ più ampie (dai dieci ai quindici seggi), permettendo poi all’elettore di indicare due preferenze sulla scheda. Le preferenze sono un requisito imprescindibile. Meglio correre il rischio di qualche infiltrazione clientelare che rimanere prigionieri delle liste bloccate e del Parlamento dei nominati. Per riavvicinare veramente i cittadini alla politica le preferenze sono in effetti lo strumento più idoneo, posto che una reale prossimità tra eletti ed elettori non era assicurata neppure dai collegi uninominali del vecchio mattarellum, in cui spesso venivano paracadutati dall’alto candidati completamente estranei al territorio.

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