Un nuovo sistema elettorale, senza le forzature delle liste bloccate e del premio di maggioranza

L’intervento del costituzionalista prof. Vincenzo Satta apre sulle colonne di Agenda Domani (LEGGI TUTTI GLI INTERVENTI) un dibattito su una nuova agenda di riforme per il Paese, che riguarda i temi istituzionali, sociali, economici per dare concretezza a quell’agenda di speranza per l’Italia che ha costituito il leitmotiv della scorsa Settimana Sociale dei cattolici italiani.

La proposta del prof. Satta sui temi istituzionali evidenzia la necessità di superare l’attuale sistema elettorale e propone una nuova legge elettorale di tipo proporzionale con correttivi ispirati sia al modello tedesco che a quello spagnolo.

 

1. È ormai evidente a tutti la necessità di modificare la legge elettorale n. 270/2005 e superare il sistema vigente, esposto, come anche la Corte costituzionale ha lasciato intendere, a patenti profili di illegittimità costituzionale.

Senza dilungarsi troppo sui pregi e i difetti, sulle virtù e sui vizi delle formule elettorali, è opportuno tuttavia ricordare che, di norma, ma senza voler assolutizzare le considerazioni che seguono, mentre le formule maggioritarie tendono a costruire maggioranze parlamentari ampie, per converso i sistemi proporzionali, privilegiando l’esigenza di una elevata – se non totale – rappresentatività, favoriscono i governi di coalizione, posto che tutti i partiti conseguono, in proporzione ai voti ottenuti, un certo numero di seggi in parlamento.

Ciò nonostante, appare piuttosto arbitrario selezionare astrattamente l’uno o l’altro sistema, senza valutarne l’impatto nell’ambito della struttura sociale. Questa è naturalmente dotata di una propria, autonoma capacità di esprimere diversificati e plurali orientamenti culturali e politici, per cui risulta fortemente limitativa l’idea di costringerla a forme di rappresentanza che non rispecchino correttamente le sue molteplici articolazioni.

Per questo motivo deve essere rifiutato qualsiasi tentativo di imporre formule elettorali che impediscano la fisiologica capacità della struttura sociale di articolarsi pluralisticamente. In questa prospettiva appaiono molto deboli tutti gli argomenti che pretendano di dimostrare la preferibilità di certi sistemi, praticati in altri Stati, adducendo a sostegno di tali proposte i migliori livelli di efficienza di quei regimi politici. Queste pulsioni vengono largamente assecondate, ogni volta che si voglia suggerire l’idea che il sistema maggioritario sia la panacea di tutti i mali prodotti dalla difficile governabilità di un sistema politico. È invece opportuno tenere presente che altre esperienze statuali sono dotate di una specifica identità culturale, nella quale il legislatore innesta formule elettorali che rispondono a un certo tipo di struttura sociale, con caratteristiche proprie e non riproducibili.

In Inghilterra, per esempio, il sistema maggioritario opera in un contesto politico-sociale tendenzialmente polarizzato, radicato attorno a due grandi blocchi politico/partitici – laburisti e conservatori – che accolgono la cultura del governo dell’alternanza come prospettiva non solo possibile ma auspicabile. Alla costruzione di un contesto di questo tipo, cospira, però, una società avvezza a muoversi secondo questa polarità. Il sistema maggioritario, in casi come questo, non fa altro che governare e istituzionalizzare un processo di manifestazione ed espressione di orientamenti politici molto ben definito e strutturato. Molti ricorderanno che già qualche anno fa, in occasione delle ultime elezioni politiche, il riscontro elettorale dei liberal-democratici guidati da Nick Clegg, costrinse i leaders dei due grandi partiti britannici a contrattare con lui la carica di Vice-Primo ministro, in cambio dei voti dei deputati del suo partito in Parlamento. Proprio in quella circostanza, fu Clegg ad avanzare l’ipotesi di una trasformazione in senso proporzionale del sistema elettorale inglese; un tentativo ripetuto molto di recente col referendum nel quale, peraltro, la posizione di Clegg è risultata, all’esame del voto, largamente sconfitta. È tuttavia utile ricordare un’esperienza recente come quella inglese, per riaffermare l’esigenza che la legislazione elettorale si collochi in linea con la libera espressione degli orientamenti culturali e politici promananti dalla società, più che diventarne la catena o il giogo.

D’altra parte, giova osservare che nell’arco di tempo in cui in Italia è stato applicato un sistema misto, a vocazione prevalentemente maggioritaria, questa opzione non pare aver risolto il peso dei partiti minori, nell’ambito di quelle che, più che manifestazioni di un bipolarismo acquisito e maturo, apparivano essere delle coalizioni agglutinate con l’obiettivo di superare il vaglio contingente delle elezioni. Inoltre, non è stato superato definitivamente il problema della tenuta delle maggioranze, e, di conseguenza, della stabilità dei Governi, posto che la litigiosità interna alle coalizioni rimane una costante del sistema politico italiano. E questo è un limite che, nonostante le nitide forzature istituzionali in essa contenute (premio di maggioranza), neanche la legge vigente è riuscita a ridurre.

 

2. Per i motivi esposti, un primo livello di verifica della prospettiva di miglioramento dei livelli di efficienza del sistema passa necessariamente attraverso la definizione di strategie di democratizzazione interna dei partiti politici. È chiaro che l’optimum sarebbe la maturazione di processi di democratizzazione interna che siano liberamente scelti e attivati da ciascun partito. Ma, sic stantibus rebus, accertata la difficoltà a valorizzare la partecipazione politica all’interno dei partiti, o, se si vuole, della gran parte di essi, ritorna attuale il problema dell’interpretazione del concetto di metodo democratico, cui si riferisce l’art. 49 della Costituzione, nello stesso senso dichiaratamente attribuito dall’art. 39 Cost. al metodo (democratico) di organizzazione interna delle organizzazione sindacali. Questa prospettiva renderebbe non solo conforme, ma addirittura costituzionalmente necessaria una legge che sottoponga tutti i partiti a una disciplina omogenea di organizzazione interna democratica (id est: con metodo democratico)1.

 

3. In secondo luogo, c’è il problema della modifica della legge n. 270/2005. Sui problemi di costituzionalità già in altra sede si era osservato2 che lista bloccata (senza preselezione democratica dei candidati), candidature plurime e premio di maggioranza senza previa determinazione di una soglia minima di voti conseguiti, siano nitidamente in contrasto con i caratteri del voto fissati nell’art. 48 della Costituzione. Del resto, anche la Corte costituzionale nelle sentenze nn. 15 e 16 del 2008, dichiarando l’ammissibilità dei quesiti referendari sulla legge elettorale (il referendum si tenne poi nel giugno del 2009, in conseguenza dello scioglimento anticipato delle Camere, con la crisi del II Governo Prodi), ebbe modo di denunciare la previsione di un premio di maggioranza senza indicazione di una soglia minima di voti, necessaria a far scattare il beneficio (in termini di seggi), come tale idoneo non già a premiare una maggioranza, ma solo a “gonfiare” artatamente una maggiore minoranza – per ricorrere a una locuzione coniata da Giovanni Sartori.

La conservazione di elevati livelli di capacità rappresentativa, data la struttura molto articolata e variegata del sistema partitico italiano, parrebbe imporre la conservazione di formule di tipo proporzionale, eventualmente corrette.

Sulla ricerca di un rapporto equilibrato tra le giuste esigenze del miglioramento degli standard di governabilità del sistema e la capacità rappresentativa può essere utile riflettere, senza assolutizzarle, su due esperienze straniere. Quella spagnola e quella tedesca.

 

4. In Spagna opera un sistema proporzionale, incentrato su dimensioni ridotte dei collegi elettorali (circoscrizioni), conseguente al loro numero particolarmente alto. La dimensione del collegio è costituita dal numero di seggi attribuito a quel dato collegio. Collegi di ridotte dimensioni rendono possibile, mantenuta la formula proporzionale, un effetto selettivo più incisivo, se è vero, com’è vero, che i pochi seggi in palio è altamente probabile che vengano conseguiti dai partiti che ottengono un maggior numero di voti. Il sistema resta proporzionale perché i seggi sono assegnati in proporzione ai voti ottenuti, ma essendo il numero dei seggi in palio piuttosto basso, i partiti che conseguono più voti – potrebbe dirsi – “esauriscono” i seggi disponibili. L’esito della consultazione assicura comunque un elevato livello di rappresentatività. Infatti, nelle aree del Paese nelle quali i partiti a vocazione locale tendono a conquistare la gran parte dei seggi disponibili nelle rispettive circoscrizioni, essi risultano rappresentati in Parlamento, nonostante abbiano ottenuto voti solo in quei pochi collegi in cui registrano consensi. Sistemi di questo tipo risultano in qualche modo “fisiologicamente” selettivi, perché favoriscono l’affermazione elettorale dei partiti a bacino elettorale significativo. Contemporaneamente restano idonei a garantire buoni livelli di rappresentanza, poiché, come si è detto, continuano ad assicurare un certo numero di seggi parlamentari ai partiti locali.

Il sistema spagnolo risulta particolarmente efficace perchè contiene intrinsecamente una forte capacità selettiva, pur rimanendo assolutamente proporzionale e per questo favorendo la libera espressione del pluralismo politico-sociale. Contemporaneamente, promuove, in ragione dell’elevato numero di circoscrizioni, un naturale effetto premiante nei confronti dei partiti che ottengono maggiori percentuali di voti.

 

5. Nel sistema tedesco per l’elezione del Bundestag, la metà dei componenti è eletta in collegi uninominali, ciascuno dei quali esprime il candidato più votato (metodo maggioritario secco a un turno), mentre l’altra metà dei parlamentari risulta eletta con formula proporzionale. All’elettore viene consegnata una sola scheda nella quale egli esprime da una parte il voto diretto al candidato e dall’altra il voto alla lista. Il numero totale dei seggi da assegnare a ciascun partito, viene calcolato sulla base del numero di voti ottenuto da ogni singola lista; al totale dei voti ottenuti da ogni singola lista, vengono sottratti i voti conseguiti da ciascun singolo candidato, ad essa collegato, risultato vincitore nel corrispondente collegio uninominale. I voti residui, spettanti alla lista, corrispondono proporzionalmente ad altrettanti seggi che vengono distribuiti ai candidati inseriti nella lista.

Ora, è rilevante osservare che il voto decisivo è quello di lista, ossia quello attribuito col metodo proporzionale. Infatti, in sede di trasformazione dei voti in seggi, sarà preliminarmente necessario stabilire quanti siano stati, in base ai voti complessivamente ottenuti, i seggi conseguiti da ciascuna lista. Dalla ripartizione dei seggi sono esclusi i partiti (ossia le liste) che non abbiano raggiunto la clausola di sbarramento del 5 per cento. A questo punto è già definita la composizione del Bundestag, in termini di seggi complessivamente spettanti ai partiti. Svolta questa prima operazione, vengono calcolati i voti ottenuti dai candidati dei collegi uninominali. Gli eventuali voti residui, spettanti alla lista a cui tali candidati sono collegati, vengono ripartiti secondo l’ordine dei candidati, sino alla copertura dei seggi conquistati dalla lista. In definitiva, la ripartizione proporzionale dei seggi indica come si è votato, ovvero, in altre parole, quanti seggi sono stati ottenuti dai vari partiti; mentre con l’altro voto – quello dato nei collegi uninominali – si può determinare quali candidati siano stati eletti, ovvero chi sia risultato eletto tra i candidati delle diverse liste. Per questo, com’è facile constatare, l’effetto del sistema rimane comunque perfettamente proporzionale. Tra l’altro la stessa clausola del 5 per cento, potrebbe venir superata qualora un partito abbia conquistato, con propri candidati, almeno tre (3) collegi uninominali. In tal caso a quel partito viene assegnato un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti, benchè inferiore al 5 per cento. Ovviamente questa eccezione concorre ad accrescere la capacità rappresentativa del sistema, specialmente in riferimento a quei partiti che dispongano di una forza elettorale concentrata in circoscritte zone del Paese.

Rispetto a quello spagnolo, decisamente più selettivo, e perciò potenzialmente più efficace dal lato della governabilità, il sistema tedesco apre tendenzialmente il regime a maggioranze parlamentari certe, ma non necessariamente. L’esperienza del cancellierato di Frau Merkel, sostenuto al Bundestag dalla Große Koalition è abbastanza indicativa, in tal senso.

 

6. Un ultima annotazione concerne l’eventuale ricorso allo strumento referendario per correggere le distorsioni della legge n. 270/2005. È di qualche giorno fa la notizia che è stato costituito un comitato di promotori del referendum proprio sulla legge elettorale. Le richieste per le quali si dà inizio alla raccolta delle 500.000 sottoscrizioni imposte dall’art. 75 Cost., riguardano opportunamente alcuni aspetti critici della legge: 1) l’abrogazione delle liste bloccate; 2) l’abrogazione del premio di maggioranza; 3) l’eliminazione delle soglie di sbarramento derogatorie a favore dei partiti inseriti nelle coalizioni di liste; 4) l’abrogazione dell’indicazione del capo della coalizione (o della lista non coalizzata) che si candida a essere eletto Presidente del Consiglio, norma che fa dubitare della sua conformità alle attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica.

1 Sul punto più diffusamente e in generale sul problema del metodo democratico nella struttura interna del partito politico, sia permesso il rinvio a V. Satta, Partecipazione politica, principio democratico e partiti, in Scritti in onore di Angelo Mattioni, Vita e Pensiero, Milano 2011, pp. 619 ss.

2 Ibidem.

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