Spagna al voto: destra favorita

Pochi giorni ormai ci separano dal voto politico in Spagna: elezioni anticipate – la scadenza naturale sarebbe stata a novembre – volute dal premier socialista Pedro Sanchez dopo la sconfitta alle regionali di primavera, forse per cogliere in contropiede gli avversari di centro-destra alle prese con una complicata partita delle alleanze. E dunque in corso di riorganizzazione.

In effetti se questa tornata dovrebbe – sondaggi alla mano – segnare il ritorno alla guida del Paese del Partito popolare (Pp), non di meno risulta evidente come il fronte conservatore abbia alcuni problemi da risolvere. Il Pp che da sempre ha riempito incontrastato la collocazione di centro-destra, si vede insidiato alla propria destra da Vox, formazione con malcelate nostalgie franchiste che, con il suo 15 per cento, è al tempo stesso una concorrente e una possibile alleata.

In realtà riguardo ad eventuali intese con Vox, il leader Pp, Alberto Nunez Feijòo, si mostra reticente, in quanto essendovi un sistema di voto proporzionale, ognuno corre per sé. Resta però molto probabile che per comporre una maggioranza in grado di governare si possa rendere necessario un accordo tra destra moderata e destra radicale. Per ora Pp e Vox governano insieme in nove delle diciassette regioni (o comunità) di cui è composta la Spagna: un asse conservatore, con venature reazionarie, tutto da scoprire in quanto ad effettiva capacità politica.

Il fronte progressista si ripresenta davanti agli elettori sotto le insegne del Psoe e di Sumar, un cartello capitanato dalla vice presidente del Governo, Yolanda Diaz che unisce la galassia che ruota attorno alla sinistra radicale e al mondo dell’ambientalismo. Vi sono anche confluiti i resti di Podemos, la formazione un tempo guidata da Pablo Iglesias che, dopo il clamoroso successo alle elezioni del 2016, pare ormai aver imboccato una china discendente. Al punto che in diverse regioni non ha neanche superato la soglia di sbarramento.

Il 23 luglio, Sanchez conta di far valere un bilancio di governo tutto sommato dignitoso. Pensiamo in particolare alle misure adottate a favore del mondo del lavoro: aumento del salario minimo e incentivazione dei contratti lavorativi stabili o al percorso di transizione ecologia, connesso al Pnrr, che in Spagna è denominato Piano di recupero, trasformazione e resilienza (Perte). Con i suoi 70 miliardi a fondo perduto – Madrid non ha chiesto la quota relativa ai prestiti – il Perte rappresenta il principale snodo del programma di questi anni, avendo fornito le risorse per finanziare un insieme di grandi progetti a livello nazionale e locale su digitalizzazione, energie alternative, elettrificazione dei veicoli, coesione sociale e territoriale.

Degno di nota è soprattutto il piano da 800 milioni di euro dedicato all’economia sociale (settore con oltre 40mila imprese e che occupa 2,2 milioni di lavoratori) con finanziamenti alle imprese sociali volti a sostenere progetti di modernizzazione tecnologica, energetica e digitale. L’obiettivo è anche di salvaguardare i livelli occupazionali nelle aziende in difficoltà o che non avendo ricambio generazionale vengono convertire in realtà produttive gestite dagli stessi lavoratori.

In vista del voto politico, pare assodato – e l’esito delle regionali ne ha dato conferma – il crollo di Ciudadanos, il partito di centro che immaginava di trovar spazio incuneandosi nel bipolarismo tra Psoe e Pp. Dopo un inizio molto promettente, nel quale Cd era riuscita a drenare una discreta massa di voti ai socialisti, la scelta di non allearsi più con loro, per svoltare decisamente a destra ha finito per allontanare gli elettori di centro-sinistra. Dal canto suo il Pp ha continuato ad essere un’eccellente calamita del voto moderato, con scarsi consensi in uscita verso la formazione centrista.

Nella partita elettorale si tratterà infine di vedere il risultato delle forze nazionaliste a carattere regionale: sia delle storiche formazioni catalane e basche, sia di quelle meno note, ma ugualmente decisive, nelle Canarie, in Navarra o nella Comunità Valenciana. E’ ipotizzabile che proprio queste forze autonomistiche si rivelino decisive per la nascita del prossimo Governo, come già lo sono per sostenere quello attuale, anche solo con l’astensione. In fondo è quello su cui punta Sanchez conscio che i partiti regionalisti potrebbero rivelarsi determinanti ed avranno parecchi problemi a sostenere una maggioranza con Vox, il cui leader, Santiago Abascal, non fa mistero di auspicare una Spagna centralista.

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