“La zia di Carlo” per la stagione estiva del Teatro Coccia di Novara

Grande successo per la prima esecuzione italiana della Zarzuela di Miguel Echegaray

di Alessandro Mormile

Il Teatro Coccia di Novara, appena si avvicina l’estate, non ferma la sua attività, ma esce dalla tradizionale sede al chiuso e cerca nuovi spazi en plein air in città.

Così ha fatto l’anno scorso, proponendo una edizione del Don Pasquale di Donizetti affidata ai giovani della Accademia AMO preparati dai maestri Paoletta Marrocu e Giovanni Botta nel Cortile del Castello di Novara, mentre quest’anno, nella sede più raccolta del bel giardino della prefettura di Palazzo Natta, si è messa in scena la zarzuela di Miguel Echegaray, La Viejecita (La vecchierella), su musica di Manuel Fernández Caballero, in prima esecuzione italiana nella versione ritmica tradotta in italiano (con qualche gustosa attualizzazione, ossia con quel pizzico di sale in più che da gusto al tutto) col titolo La zia di Carlo. Il tutto curato da Andrea Merli, ossia uno che di operetta e zarzuela ne sa credo come pochi in Italia.

Corinne Baroni, direttrice del Teatro Coccia, ha ben fatto a credere nell’operazione, che per di più ha previsto costi di produzione contenuti ed ha imposto anche che la partitura originale venisse ridotta in stile cameristico e salottiero (grazie al meritevole lavoro di Giuseppe Guerrera) con l’ensemble del Teatro Coccia, formato da soli cinque strumentisti (flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello). Ci si è poi affidati ad una compagnia di giovani assai motivati, provenienti della Accademia AMO, ed il gioco è riuscito appieno, forse sopra ogni prevedibile aspettativa.

Ma cosa è questa operina simpatica e spassosissima? È il prodotto ottocentesco, come ben spiegato al pubblico da Andrea Merli stesso prima dell’inizio della rappresentazione, di un genere, quello della zarzuela, che nacque fin dagli albori del melodramma e prevede che la recitazione si alterni alla musica, proprio come avviene con l’opéra-comique e il singspiel, o più in là nel tempo con l’operetta stessa. La zarzuela ha quindi attraversato i secoli e, più passava il tempo, più si chiudeva nella cerchia dei paesi di cultura ispanica che la crearono, con tanti musicisti che adoperarono tutte le loro forze alla diffusione del genere. Uno di questi, nell’800, fu Manuel Fernández Caballero, al quale si devono molte zarzuelas di successo, fra le quali questa Viejecita. La trama stessa di questo lavoro in un atto, ambientato a Madrid e ispirata ad una celebre commedia del 1892 di Brandon Thomas dalla quale si è opportunamente tratto il titolo in italiano (appunto La zia di Carlo), è molto operettista, ai limiti del farsesco.

Si racconta di Carlo, uno scapestrato ufficiale innamorato della Marchesina Luisa, che milita fra le fila di un reggimento napoleonico dove tutti lo additano per il suo carattere un po’ esuberante. L’opera, pensate un po’, prevede che Carlo sia un personaggio en travesti, ossia un mezzosoprano che interpreta il ruolo maschile di un ufficiale dell’esercito, quindi il retaggio di una tradizione operistica passata ormai progressivamente spentasi nel tempo. Ma il bello del racconto sta nel fatto che, ad un certo punto, dopo marcie di dragoni e brindisi da caserma, al reggimento giunge l’invito dal Palazzo del Marchese per una festa. Tutti vengono invitati, tranne Carlo, non gradito perché son ben note le sue avventure. Per quanto preso in giro dai suoi commilitoni, Carlo giura, anzi scommette che si recherà ugualmente a palazzo e abbraccerà e bacerà la sua bella Luisa, figlia dei nobili padroni di casa. Pensa quindi di travestirsi da donna, spacciandosi per una vecchia zia che nessuno conosce. Insomma, un personaggio en travesti che vediamo travestirsi nuovamente, questa volta da donna, per portare a compimento il suo progetto d’amore a lieto fine. Perché Carlo, quando giunge a palazzo (nel secondo quadro di questo atto unico) ne combina davvero di tutti i colori. Amoreggia con il padrone di casa (Don Manuel) e con lui balla grottescamente un minuetto. La stessa Luisa resta incuriosita da questa vecchierella alquanto eccentrica e fuori da ogni schema. Ma alla fine, dopo un improbabile duetto in cui Carlo vestito da donna comincia a palpeggiare le cosce della sua amata, i due innamorati si riconoscono e, nonostante Carlo riveli dinanzi a tutti il suo travestimento, alla fine la marchesa, madre di Luisa, accetta l’unione fra i due giovani, prima da lei osteggiata, con il prevedibile happy end.

Cose di questo genere le si penserebbe possibili nell’opera del Seicento barocco veneziano (pensiamo ai tanti esempi che ci vengono offerti dalle opere di Francesco Cavalli), quando i doppi travestimenti per motivi amorosi erano all’ordine delle cose. Qui, in un contesto del tutto realistico, assumono tratti salottieri leggeri e disimpegnati, come la musica stessa ci indica, fra ritmi militareschi, valzer e rari sprazzi di romantico abbandono, come nel finale del duetto fra i due innamorati.

Andrea Merli, al quale si deve l’adattamento drammaturgico per la traduzione ritmica del libretto in italiano, ha fatto un bellissimo lavoro interfacciandosi, oltre che con Giuseppe Guerrera per l’elaborazione orchestrale, con una regista, Ilaria Sainato, che ha pensato di ambientare l’opera non, come da libretto, al tempo delle guerre napoleoniche, bensì nella Spagna franchista del Novecento, ispirandosi ad un’immagine fotografica scattata da Hans Gutmann che ritrae Marina Ginestà (figura iconica della guerra civile spagnola) sul tetto dell’Hotel Colon a Barcellona. Gli abiti sono in stile anni Trenta-Quaranta e le scene di Matteo Capobianco propongono fondali dipinti realizzati con la tecnica dell’intelligenza artificiale (A.I.): nulla altro che pannelli a due facce, da un lato la taverna dei militari, dall’altro l’interno del lussuoso palazzo della Marchesa. Una realizzazione per nulla scontata, ben pensata e, per di più, realizzata con pochi mezzi.

Inutile dire che, seppur su un palco piccolissimo, i cantanti si divertono un mondo, a partire dalla protagonista, la brava Eleonora Filipponi, che non solo ha un bel timbro di mezzosoprano, ma è un Carlo di dinamicità scatenata e irrefrenabile, sempre sopra le righe, proprio come deve essere, prima sfrontatamente mascolino, con mosse virili e tanto di baffetti che mantiene anche quando si traveste e si presenta con la bocca incorniciata da un rossetto accentuato che fa di lei una sorta di drag queen in salsa ispanico-messicana che barcolla in scena sostenendosi con un bastone ed è divertentissima nell’intonare la canzone della Viejecita. Ottimi tutti i personaggi che le fanno da contorno, Judith Duerr (Luisa), Valentina Marghinotti (Marchesa), Ranyi Jiang (Fernando), Wang Yang Chen (Don Manuel) e Francesco Congiu (Sir George), così come funzionale all’ingranaggio musicale godibilissimo di questa breve operina è l’ensemble di pochi strumentisti ben condotto da Matteo Castelli.

Tutti si divertono, anche il coro dei militari en travesti (con sei coriste che recitano a meraviglia). Il pubblico rimane coinvolto da una serata ricca di brio e buon umore, realizzata davvero bene e, merita sottolinearlo, con un inaspettato e gradito sold out.

Foto Mario Finotti.

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