Silvio Berlusconi, divisivo ed empatico come pochi altri

Una fine repentina, quella di Silvio Berlusconi che ha lasciato tutti un po’ di stucco. I suoi guai di salute erano senza dubbio risaputi ma ci si augurava che, ancora una volta, la potesse sfangare. Molte, tante, troppe le cose da dire riguardo a questo straordinario personaggio – decisamente fuori dalle righe e rotto a qualsiasi eccesso – che ci ha accompagnati in questo trentennio.

Ma forse, a pensarci meglio, è persino di più che lo vediamo balzare agli onori della cronaca. Da quando, ad esempio, da scaltro impresario edile diventò il signore delle televisioni commerciali: una grande intuizione resa possibile anche da regole sui media a dir poco lacunose. Poi c’è stato il Milan, che in pochi anni, divenne la squadra italiana più titolata al mondo. Proprio la sua scalata calcistica ci consente di evidenziare un aspetto pooco appariscente di Berlusconi, ma non meno significativo. Prendendo le redini delle maglie rossonere, egli si accasò dai cosiddetti “cacciaviti”, la squadra della classe proletaria contrapposta all’Inter, blasonato club dei “bauscia”, della borghesia della “Milano bene” che per parecchio tempo considerò il Cavaliere un parvenu. Uno da tener fuori dai salotti buoni. Un imprenditore non appartenente all’establishment economico che, a ben vedere, poteva piacere alla gente di sinistra.

Dopo le televisioni e il calcio: due indiscutibili successi, ecco la politica. E qui per il nostro, le cose hanno iniziato a girare un po’ storte. Dalla discesa in campo, quel lontano 26 gennaio 1994, quando fondò Forza Italia, sono stati quasi tre decenni vissuti aizzando i suoi elettori contro un inesistente pericolo comunista e cavalcando populismo ed antipolitica. Prendeva in giro i politici di professione: gente, diceva, che non ha mai lavorato, e su quello a volte vien da pensare che non avesse tutti i torti. Eppure nessuno più di lui nella storia repubblicana ha occupato le stanze di palazzo Chigi. Nemmeno Alcide De Gasperi. Un lungo tempo al governo con esiti però assai modesti: non si ricorda alcuna riforma di grande portata. Unici provvedimeni degni di nota – chi è genitore gliene sarà per sempre grato – l’obbligo del casco in moto e la patente a punti: deterrenti contro le follie stradali di tanti giovani. Spicca anche in questo piattume governativo l’incontro a Pratica di Mare con George Bush e Vladimir Putin: un’immagine d’altri tempi. Quando il mondo pareva più pacificato di quello odierno. A parte questo poco o nulla.

Eh sì, perché il Cavaliere tanto brillante in campagna elettorale, dove prometteva mari e monti, era poi ben poco incisivo al momento di governare. Non per colpa sua, però. Lo abbiamo sempre sentito lamentarsi degli ostacoli che ai suoi fantasmagorici progetti frapponevano via via i suoi irriconoscenti alleati, si chiamassero Umberto Bossi, Pier Ferdinando Casini o Gianfranco Fini. Mai una volta una minima autocritica.

Oltre alla politica, anzi intrecciati ad essa, ci sono i suoi rapporti (si fa per dire) con la magistratura. E qui sarebbe il caso si smentire la vulgata del complotto giudiziario ai suoi danni. Quelle inchieste erano dovute: se c’è notizia di reato il pubblico ministero deve intervenire. In parallelo interveniva spesso un Parlamento compiacente pronto a sfornare una serie di leggi ad personam da far impallidire chiunque. Non certo il Cav ben lieto di sfuggire dal processo, a differenza di Giulio Andreotti che si difese sempre dentro il processo, senza denigrare i giudici. Forse perché era uno statista vero.

Berlusconi avrebbe potuto contribuire al rinnovamento delle nostre istituzioni e nel 1997 con Massimo D’Alema, allora leader Ds, ci andò vicino. Magari è stato meglio così, visto che si profilava un semipresidenzialismo alquanto pasticciato, però tirandosi indietro perse davvero l’occasione di diventare una sorta di padre costituente della Seconda repubblica. Di lui resterà invece l’alleanza di centro-destra che inventò mettendo insieme il nazionalismo missino e lo pseudo secessionismo leghista, quando Bossi e Fini – anni dopo autori di una pessima legge sull’immigrazione – manco si parlavano.

Dapprincipio sembrò un azzardo mescolare la fiamma tricolore con il carroccio di Pontida e invece con quel tridente – Forza Italia, Lega e Alleanza nazionale, oggi Fratelli d’Italia – la coalizione conservatrice ha saputo presentarsi nei Comuni, nelle Regioni e in Parlamento. Una formula consolidata che gli elettori conoscono a menadito e paiono apprezzare. Altro film davvero rispetto alle fibrillazioni del centro-sinistra alla perenne ricerca di un assetto altrettanto stabile.

Cala dunque il sipario su questo incredibile protagonista della nostra vita pubblica, fino all’ultimo indomito combattente, tanto spregiudicato quanto intelligente, ammirato e detestato come pochi altri, spesso divisivo eppure certamente più empatico di molti dei suoi severi censori. Nel momento del commiato è divertente ricordare una delle sue ultime interviste, quando alla domanda su come avrebbe visto Giorgia Meloni o Matteo Salvini a palazzo Chigi rispose con un sonante <<non scherziamo!>>. E poco importa che le cose siano poi andate in un altro modo.

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