Francia: pensioni, censura, governo più fragile

Ragione nel merito, torto nel metodo: è quanto sta accadendo in Francia al Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, con la riforma pensionistica. Vediamo di spiegare meglio la faccenda.

Il Presidente ha ragione perché la riforma risulta necessaria per l’equilibrio dei conti previdenziali: un problema che si riscontra grosso modo in tutti i Paesi europei. Del resto se, per fortuna, la vita si allunga è lecito che si debba rivedere al rialzo l’età a cui si accede alla pensione e la legge in oggetto, va riconosciuto, affronta la questione senza eccessivo rigore.

Essa prevede infatti l’innalzamento dell’età pensionabile dagli attuali 62 a 64 anni, la salvaguardia dei lavoratori precoci che potranno andare a riposo anticipatamente e la fine dei cosiddetti regimi speciali, trattamenti di favore per alcune categorie: funzionari pubblici, lavoratori delle aziende statali (ferrovie, gas, elettricità, ecc..). Equità previdenziale vuole che si eliminino certi privilegi ingiustificati concessi dallo Stato pantalone, e non per attività usuranti come il lavoro in miniera, ma a chi svolge mansioni del tutto simili a quelle del settore industriale privato. In ogni caso l’abolizione dei regimi speciali vale solo per i neo assunti e non per il personale in servizio. Una riforma, quella transalpina, tutto sommato ben congegnata e peraltro meno drastica del nostro assetto previdenziale, con i suoi 66 anni come regola generale, o dei 65 anni previsti in Spagna e Germania.

L’errore di Macron è stato però nel metodo utilizzato perché è assurdo che una riforma di questa portata non sia stata votata dal Parlamento. Nel timore di non riuscire ad ottenere un voto parlamentare favorevole, visto che il Governo si regge su una maggioranza relativa, il Presidente ha chiesto alla premier, Elisabeth Borne, di utilizzare tutti gli strumenti giuridici offerti dalla Costituzione per poter conseguire il risultato voluto. Un approccio tecnocratico, poco propenso a misurarsi sul terreno delle intese politiche, mentre poteva rivelarsi proficuo coinvolgere i repubblicani, gli ex liberal-gollisti, il cui programma elettorale comprendeva un intervento sulle pensioni.

L’iter è invece iniziato avvalendosi dell’art 47 comma 1 della Costituzione che, in caso di disegni di legge a carattere finanziario, concede all’esecutivo la facoltà di far approvare una norma senza un’esplicita pronuncia parlamentare. Passo successivo è stato l’impegno della responsabilità del Governo sulle norme pensionistiche dinanzi al Parlamento (art. 49, comma 3) che consente di dare il via libera ad un testo senza metterlo in votazione. Unico rischio, come in effetti è accaduto, l’avvio di una mozione di censura dell’opposizione che se approvata a maggioranza assoluta obbliga il Governo alle dimissioni.

Per la Borne pericolo scampato: la censura si è fermata a 278 voti, mentre ne sarebbero serviti 287 per mandare a casa l’esecutivo. Adesso che la mozione è stata respinta e che la riforma è passata, ci si chiede però come evolverà il quadro politico. Il Governo salvato per nove voti soltanto è quanto mai fragile e, stante gli attuali rapporti di forza in Parlamento, si trova in serie difficoltà nel dispiegare il proprio programma.

Intendiamoci, il percorso seguito dal Presidente è pienamente legittimo, in passato è stato utilizzato tanto da esecutivi di sinistra che di destra. Oggi, però, considerando il clima incandescente provocato dal progetto di riforma, sarebbe stato più saggio affidarsi ad un voto del Parlamento. Potevano venir coinvolti in maniera più incisiva i repubblicani, visto che una modifica sulle pensioni faceva parte del loro programma. A quel punto, un loro voto contrario, che certo avrebbe fatto naufragare le nuove norme, poteva venir bollato come un’opposizione pregiudiziale di chi gioca con i destini del Paese per il proprio tornaconto: le presidenziali del 2027, dove i liberal-gollisti sperano di raccogliere i cocci del macronismo.

Un “tanto peggio, tanto meglio” rispetto al quale Macron avrebbe fatto un figurone, mostrando per di più, di aver rispettato fino in fondo. e costi quel che costi. il Parlamento. Quanto è accaduto in Francia mostra in modo evidente come il presidenzialismo non risolva i problemi della politica. Semmai li complica, anche quando approda all’esito desiderato.

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