Duecento anni fa, 5 maggio 1821: la morte di Napoleone

La notizia giunse in Europa con un certo ritardo, quando il fatidico 5 maggio era già passato da qualche mese. Da quel momento, in Francia come in Europa, tutti seppero che nella lontana isola di Sant’Elena, a soli 52 anni, era morto Napoleone Bonaparte. In quello scoglio nel sud dell’Atlantico, del tutto sconosciuto ai più, vi era stato esiliato cinque anni prima, segnandone la fine politica e militare.

La sua stella, in verità, aveva iniziato a tramontare già qualche anno prima, quando era stato costretto ad un provvisorio esilio all’isola d’Elba. Dal mar Tirreno però l’ex imperatore era riuscito a riguadagnare il continente e a rientrare in Francia. Un ritorno che sembrava poter segnare un nuovo inizio e che invece fu soltanto l’anticamera del suo commiato. Durò infatti appena cento giorni – dal marzo al giugno 1815 – il bel sogno di una rivincita. Tutto però si infranse a Waterloo aprendo la strada al definitivo oblio.

Si concludeva così una grandiosa avventura che in pochi anni aveva visto un brillante ed ambizioso generale, divenire Primo console, con il colpo di Stato del 18 brumaio, e poi addirittura Imperatore dei francesi. Forse nessuno nella storia seppe suscitare, come Napoleone, al tempo stesso tanto amore e tanto odio. Un’incondizionata ammirazione e una profonda repulsione. Detestato dalla nobiltà, che lo riteneva un parvenu, sostenuto dalla borghesia, di cui si rese inteprete, esaltato soprattutto dai militari, da quei soldati con cui aveva conquistato l’Europa e che gli furono fedeli sino all’ultimo.

Al di là dei suoi successi militari, che pure gli diedero gloria, egli fu soprattutto l’uomo che dopo la rivoluzione del 1789 cambiò i destini del suo Paese. Disegnò la Francia moderna sotto il segno di una legge finalmente uguale per tutti, difese la proprietà privata, facendone uno dei capisaldi dell’ordine sociale, e creò un efficiente apparato pubblico, fortemente centralizzato, basata sui prefetti rimasto pressoché inalterato sin quasi ai giorni nostri.

Si tratta, a ben vedere, di un’eredità politica, giuridica ed amministrativa che lo pone tra i grandi riformatori della storia moderna. Basti pensare a quel Codice civile, che porta ancora il suo nome, con cui è stato modellato l’ordinamento francese e che ha influenzato non pochi altri Paesi europei. Parlare di Napoleone, a duecento anni dalla morte, significa dunque ricordare un uomo che, sebbene ormai lontano nel tempo, ha profondamente inciso sulla modernizzazione dello Stato, attraverso importanti riforme che giungono fino ai giorni nostri. Esportò in Europa i principi della rivoluzione francese – libertà, uguaglianza e fraternità – e in fondo li rese universali.

Oggi che va di moda un certo revisionismo storico vengono messi in luce gli aspetti più deteriori. Se può aver magari senso considerarlo un guerrafondaio (dimenticando però che a quell’epoca il pacifismo non era certo di moda), pare fuori luogo ritenerlo fautore di un bieco colonialismo schiavista o di cose del genere. Quello di giudicare il passato, senza calarsi nei valori del momento storico che si sta analizzando è uno dei più gravi errori che si possano compiere. E purtroppo oggi questo accade spesso, con il risultato di non riuscire più a comprendere la storia nel suo complesso divenire.

Di certo Napoleone fu uomo dai tanti volti: condottiero indiscusso per alcuni, usurpatore incallito per altri. Rivoluzionario e restauratore, fu tutto e il contrario di tutto. Una vicenda umana intricata come poche altre, pienamente illustrata nei memorabili versi che seppe regalarci Alessandro Manzoni nell’ode “Il Cinque Maggio”. <<Tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il triste esilio: due volte nella polvere, due volte sull’altar>>. Versi scritti di getto, appena dopo la sua morte, e che meglio di tutto hanno colto la grandiosità del personaggio, con le sue inarrivabili peripezie e le sue umane contraddizioni.

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