Riconnettere le montagne

Nella marea di negatività che ci ha portato questo doloroso 2020 ci sono (almeno) due fattori positivi: la riscoperta della montagna come luogo di vacanza e relax e la poderosa crescita dell’informatizzazione della società, visto che la quarantena ha costretto molti a ingegnarsi fra telelavoro, didattica a distanza e acquisti in rete. Qualcuno ha addirittura unito le due cose, approfittando della possibilità di lavorare a distanza per trasferirsi in qualche borgo rurale arrampicato sui monti per un periodo prolungato.

Se dunque da un lato l’emergenza sanitaria ci complica la vita come mai avremmo pensato fino a poco tempo fa, dall’altro lato ci fornisce l’occasione di sperimentare stili di vita alternativi, magari più sostenibili ed ecocompatibili, oppure semplicemente più comodi e rilassanti. Invece di restare inchiodati per ore nel traffico, nell’afa delle pianure, a respirare inquinamento, c’è la possibilità – non per tutti, ma per molti – di stabilirsi per un po’ di tempo in qualche località amena, accendere il personal computer e collegarsi con il proprio ufficio, l’azienda, i colleghi, lavorando da casa, al fresco e con aria salubre. È così che non poche persone si sono spinte verso le aree interne, le terre alte, quei luoghi che prima erano stati abbandonati proprio a causa della lontananza e dell’isolamento per via della carenza di infrastrutture.

Già, ma quali infrastrutture? Qui non stiamo parlando di tangenziali, viadotti o gallerie come troppo spesso si è fatto negli ultimi decenni, in un’Italia dominata dagli “sviluppasti” che vedevano nelle colate di cemento, nei nastri di asfalto e nell’alta velocità la chiave per la “crescita” continua che avrebbe dovuto portare benessere a tutti. Oggi il fallimento di quel modello dovrebbe essere visibile a chiunque, dopo che abbiamo buttato miliardi e devastato territori solo per passare da una crisi all’altra, senza ridurre la disoccupazione, senza salvaguardare le condizioni economiche dei lavoratori, senza nemmeno soddisfare i parametri macroeconomici, visto che il debito pubblico è cresciuto a dismisura.

No, qui stiamo parlando delle “infrastrutture” del terzo millennio: la messa in sicurezza del fragile territorio del nostro bellissimo Paese, la tutela di ambiente e biodiversità, la valorizzazione del benessere individuale e collettivo rispetto al consumismo esasperato. Ma soprattutto l’unica “infrastruttura” in grado di garantire alle zone remote dei collegamenti davvero rapidi, cioè la connessione veloce a internet, che permette di comunicare istantaneamente con tutto il mondo anche da paesini sperduti in pittoresche vallate. A condizione che ci sia la copertura, naturalmente.

È per questo che l’occasione per così dire forzosa che ci è stata offerta dalla quarantena deve essere colta per azzerare, o perlomeno ridurre, la distanza digitale che ancora affligge una parte del territorio italiano, dando a tutti la possibilità di interagire “da remoto”, nel senso più ampio del termine. Ne deriverebbero sensibili vantaggi sul piano della mobilità e dell’inquinamento ad essa collegato e una più ampia possibilità di conciliare in maniera più armoniosa i tempi di vita e lavoro, ovunque si risieda o si decida di andare ad abitare.

La connettività diffusa anche nelle zone più impervie, può sopperire alle difficoltà di accesso logistiche e ridurre la sensazione di isolamento, contribuendo così a frenare il progressivo spopolamento delle aree interne, anzi favorendo il reinsediamento di famiglie e attività produttive, con indubbi vantaggi per le zone rivitalizzate, ma anche per le aree metropolitane, che vedrebbero diminuire almeno in parte la congestione veicolare e il sovraffollamento. I benefici potrebbero essere notevoli e diffusi, in termini di salute, qualità della vita e riduzione dell’inquinamento.

È proprio per questo che, nell’ambito dei provvedimenti da attuare con il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) e con la Legge di Bilancio 2021, molti soggetti pubblici e privati stanno chiedendo di indirizzare risorse in questo senso. Tra questi l’Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) Piemonte, che in un documento rivolto al Governo e al Parlamento ha posto la digitalizzazione come primo di dieci punti da mettere in atto per agevolare la ripresa delle terre alte. L’investimento nell’infrastruttura digitale è oggi ben più strategico di quello sulla viabilità stradale o sugli impianti di innevamento artificiale, perché è sulla rete che in futuro viaggeranno sempre più informazioni e servizi, compresi quelli delle pubbliche amministrazioni. Per capirci, non c’è bisogno di spendere milioni di euro per costruire un tunnel che consenta di accorciare la strada al postino o al messo comunale, quando si ha la possibilità di ricevere un documento per posta certificata in pochi secondi, dunque è in quella direzione che vanno indirizzati gli investimenti, con buona pace della lobby del cemento e di quella degli “uomini delle caverne”, che vogliono scavare gallerie ovunque con il miraggio di creare occupazione..

Gli amministratori delle comunità montane, dopo anni passati a chiedere aiuti per colmare i limiti imposti dalla morfologia dei loro territori, ora si rendono conto delle potenzialità di queste zone e vorrebbero sfruttare le opportunità di sviluppo, evitando però il rischio di diventare il parco-giochi a climatizzazione naturale per chi vive nelle aree urbane di pianura e sale in quota solo per trovare divertimento e refrigerio, in un’ottica consumistica di mordi e fuggi. Per questo occorre agevolare l’insediamento di attività produttive anche al di fuori del ristretto ambito turistico e soddisfare le esigenze operative di chi decide di stabilirsi per periodi prolungati o in modo definitivo.

La connessione digitale può permettere di affiancare e mettere in contatto attività tradizionali come la coltivazione e la pastorizia, con le nuove professioni tecnologiche legate alla rete e alla creazione di servizi, contribuendo a rivitalizzare antichi borghi rurali altrimenti destinati al declino e all’abbandono, come successo negli ultimi decenni. A questo si potrebbe aggiungere anche il recupero strutturale del patrimonio edilizio, con notevoli benefici su abitabilità, consumi energetici, microclima. Insomma, connettere le terre alte con il resto del Paese potrebbe produrre benefici per tutti, per cui sarebbe davvero remunerativo investire in questo senso, accantonando le concezioni di sviluppo obsolete basate sul consumo di suolo, come la costruzione di nuovi insediamenti, o la moltiplicazione della rete viaria.

Piuttosto che buttare centinaia di migliaia di euro per tenere a galla stazioni sciistiche con sempre meno neve a causa dei cambiamenti climatici, è meglio destinare fondi per rendere più fruibile un territorio destinato a diventare rifugio per fette crescenti di popolazione in fuga dalla torrida afa delle terre basse, che diventerà sempre più insopportabile a causa del progressivo riscaldamento globale.

Nel prossimo futuro, sarà importante poter salire in montagna senza perdere i contatti con il lavoro, gli amici, la collettività, i servizi pubblici e amministrativi e persino con le strutture sanitarie, grazie ai progressi della telemedicina. Conservando, al tempo stesso, il buon senso per capire quando è opportuno disconnettersi, per concedersi una boccata di ossigeno e aria salubre, per apprezzare il rilassante panorama di un bosco o di un prato fiorito, o per ammirare la maestosa imponenza di una montagna che si staglia contro il cielo intensamente azzurro.

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