Africa, la crisi climatica è già grave

L’opinione pubblica ha in larga parte compreso che il riscaldamento globale provocato dalle attività umane sta causando mutamenti climatici ormai evidenti. Ma quello che forse ancora sfugge è l’incidenza che questi fenomeni hanno già oggi, specialmente in alcune aree del globo. Anche da noi si registrano ondate di calore, scioglimento dei ghiacciai e violente precipitazioni che sempre più spesso causano inondazioni dagli esiti devastanti, ma in Africa la situazione è ancora più grave.

Nel continente nero i mutamenti climatici stanno già mettendo seriamente a rischio la sicurezza alimentare e con essa la salute delle persone e gli equilibri socio-economici, tanto da destabilizzare intere nazioni e aumentare il rischio di conflitti. A porre in evidenza la questione è lo studio “Weathering the Storm: Extreme Weather and Climate Change in Africa“, pubblicato da Greenpeace Africa e dall’unità scientifica di Greenpeace.

Il surriscaldamento dell’atmosfera ha acuito le asprezze di un clima già normalmente torrido, con solo la stagione secca e quella piovosa, estremizzando i fenomeni. La siccità si prolunga, provocando carestia, le piogge arrivano in modo torrenziale, dilavando il terreno fertile, mentre si conta un numero maggiore di cicloni di portata mai vista. Una crisi climatica che sta mettendo seriamente a rischio di estinzione molte specie endemiche, con danno irreversibile alla biodiversità, ma è la stessa sopravvivenza di intere popolazioni a essere a rischio. In particolare, è la fascia di abitanti più povera a patire i maggiori disagi, perché meno attrezzata per mitigare l’impatto dei cataclismi in atto.

Lo studio di Greenpeace parte dalla situazione attuale, già compromessa, per disegnare diversi possibili scenari futuri, ma tutti presentano il dato costante di un aumento delle temperature più rilevante rispetto al dato medio mondiale. È imperativo ridurre le emissioni a effetto serra, altrimenti l’innalzamento delle temperature in Africa supererà entro pochi decenni i 2 gradi centigradi e finirà per situarsi in un intervallo fra 3 e 6 gradi al di sopra delle medie attuali entro fine secolo, con una progressione costante. Per rendersi conto della gravità di un aumento di questa portata, può essere utile fare un raffronto con la febbre che può colpire noi umani: a fronte di una temperatura di base di 36,6°, un aumento di 2° vuole dire oltre 38° di febbre, cioè stare già piuttosto male. Ma se si sale di 4° si va oltre i 40°, il che significa rischiare la vita. Analogamente, un continente che si surriscaldi nella stessa misura vedrà acuirsi in modo insostenibile i problemi già presenti: scarsità di acqua, penuria di cibo, epidemie, conflitti armati per il controllo delle poche risorse rimaste e, naturalmente, migrazioni forzate di proporzioni bibliche, al confronto delle quali gli attuali sbarchi sulle nostre coste meridionali sembreranno sparute avanguardie di esploratori.

A fronte di una simile prospettiva, con decine o centinaia di milioni di persone costrette a scegliere fra la morte certa a casa propria o il rischio immane di una migrazione verso terre con maggiori risorse, occorre agire subito e in maniera decisa sulle cause di questo possibile scenario apocalittico. Non basta, cioè, limitarsi a mandare qualche aiuto umanitario a danno avvenuto, si deve evitare che succeda, altrimenti sarà ben difficile porre rimedio a una situazione gravemente compromessa. I leader africani devono dichiarare l’emergenza climatica e iniziare ad agire di conseguenza, riconvertendo immediatamente la loro seppur giovane e minimale economia in modo da ridurre l’utilizzo di combustibili fossili, ma lo stesso è doveroso fare anche in Occidente, visto che proprio da noi si registra il maggiore utilizzo di queste sostanze climalteranti, ma sempre noi possediamo ormai tecnologie sufficientemente evolute da consentirci di mantenere gli stessi livelli di benessere anche passando alle energie rinnovabili e a sistemi di produzione più sostenibili.

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