Memoria di piazza Fontana

Intorno alle 16.30 di venerdì 12 dicembre1969 un ordigno di elevata potenza esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, a Milano, in piazza Fontana, dove coltivatori diretti e imprenditori agricoli sono convenuti dalla provincia per il mercato settimanale. Il pavimento del salone viene squarciato e gli effetti risultano devastanti. La bomba uccide diciassette persone e altre novanta vengono ferite. Il mercato agricolo del venerdì, nella omonima banca poi fagocitata in una delle tante fusioni e incorporazioni, era un’usanza di quell’Italia arcaica e contadina sopravvissuta, della quale Pier Paolo Pasolini canterà la fine di fronte al progresso capitalista con una tragica elegia.

E’ giusto ricordare i nomi delle vittime: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè.

Qualche minuto prima della esplosione, un altro ordigno è rinvenuto nella sede della Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala, sempre a Milano.

Tra le 16.55 e le 17.30 altre tre esplosioni si verificano a Roma: una, all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio; le altre due, sull’Altare della Patria di piazza Venezia. Questi attentati provocano “soltanto” feriti e danni.

I cinque attentati del pomeriggio del 12 dicembre 1969 segnano l’inizio di quel periodo della vita del Paese che va sotto il nome di “strategia della tensione”.

Per la sua gravità e rilevanza politica, la strage di piazza Fontana è il momento iniziale di un progetto eversivo preparato attraverso gli altri attentati di quello stesso anno e diretto – come emergerà in seguito dalle sentenze giudiziarie – a utilizzare il disordine e la paura per tentare sbocchi di tipo autoritario e una stabilizzazione neo centrista del quadro politico nazionale, che dopo l’ondata del 1968 stava andando troppo a sinistra.

Sono accertati come è scritto nella relazione della Commissione Stragi “accordi collusivi con apparati istituzionali”.

Le indagini imboccano la “pista anarchica”, con l’arresto del ferroviere Giuseppe Pinelli (che cadrà in modo misterioso da una finestra del Palazzo di Giustizia. Il Commissario Calabresi pagherà a sua volta con la propria vita questa ingiusta morte di un innocente). Viene anche arrestato Pietro Valpreda: dopo anni di un infernale girone giudiziario, dimostrerà la propria innocenza e, quasi in una catartica seconda vita, darà alle stampe alcuni apprezzati romanzi, scritti a quattro mani con il giornalista Piero Colaprico..

In seguito le indagini si concentrano su esponenti del gruppo padovano della organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo e coinvolgono nomi di spicco dei Servizi Segreti. Il processo a carico dei responsabili della strage si svolge tra polemiche originate dalla decisione della Corte di Cassazione di trasferirne la trattazione da Milano a Catanzaro.

Nel gennaio del 1987, la Corte di Cassazione rende definitiva la sentenza che assolve, per insufficienza di prove, gli imputati di strage.

Un secondo processo si concluderà con esito negativo per l’accusa.

A metà degli Anni Novanta, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, già appartenenti o contigui a gruppi di estrema destra, determinano l’inizio di un altro giudizio. Anche questo si conclude nel 2005 con la conferma da parte della Corte di Cassazione della sentenza di assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove (art. 530 comma 2 del Codice di procedura penale) che la Corte d’assise d’appello di Milano aveva pronunciato un anno prima a carico di appartenenti al gruppo di Venezia-Mestre di Ordine Nuovo.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto accertato sotto il profilo storico il coinvolgimento dei primi imputati Franco Freda e Giovanni Ventura, sebbene non più processabili perché già assolti in via definitiva.

Una storia infinita e maledetta, quindi, che non ha spiegato la verità che si celava dietro quegli attentati criminali.

La strategia della tensione durerà a lungo, fra opposti estremismi che si fronteggiavano per le strade e nelle piazze; un periodo tragico, fino all’avvento del terrorismo (di destra e di sinistra), che farà battezzare quel periodo come “Anni di piombo”.

Un anno dopo, prende le mosse il cosiddetto “golpe Borghese” (detto anche golpe dei forestali o dell’Immacolata, o notte di Tora Tora, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941).

E’ un tentato colpo di Stato, svoltosi nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, organizzato dal Principe Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, in collaborazione con Avanguardia Nazionale.

Dopo l’accertamento del tentativo, vengono arrestate 48 persone accusate di cospirazione politica, ma tutti verranno assolti con sentenza definitiva nel 1984.

Borghese, noto anche con il soprannome di “Principe Nero”, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della X Flottiglia MAS dal 1º maggio 1943. Dopo l’8 settembre con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana.

Il golpe viene fermato dallo stesso Borghese mentre è in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.

Per evitare l’arresto egli si rifugia in Spagna, dove rimane fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974 (non rientra in Italia neanche dopo che, nel 1973, viene revocato l’ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana).

Altri misteri, altre pagine di storia da scrivere…che forse non si scriveranno più, con la morte di tutte le persone coinvolte.

Bisogna continuare a scrivere queste storie, soprattutto se irrisolte, perché non se ne perda la memoria.

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