Gran Torino

Parlerò di Torino, ma partirò da Detroit.

Detroit, nota città statunitense, ha molto in comune con Torino: la prima cosa che balza in mente, è l’industria automobilistica, ma sono molte altre le assonanze con la città del Michigan, come il fatto di essere situata a nord degli USA, o il confinare con una sorta di estensione della Francia oltreoceano, il Canada, rappresentato dai gigli francesi nello stendardo cittadino.

Come per Torino, il numero di abitanti è cresciuto notevolmente in concomitanza con i flussi migratori, di persone di colore a Detroit e dal sud Italia per Torino, generando inevitabili tensioni, e come per il capoluogo subalpino, ha subito un notevole crollo demografico, in concomitanza con il ridimensionamento del mercato dell’auto, ed un tracollo economico.

Le similitudini principali terminano qui, ma vale la pena approfondire il significato di Gran Torino, o meglio, di Ford Torino. La Ford, equivalente della Fiat per la città di Torino, verso la fine degli anni 60’, produsse un nuovo modello che fu appunto battezzato “Torino”, in quanto gli statunitensi, consideravano Torino come la Detroit d’Italia. “Gran Torino”, ne fu l’evoluzione sportiva.

Ma mentre per Detroit si può dire che la sua breve storia, ruoti tutta intorno all’industria dell’auto, non si può dire lo stesso per Torino: dalla sua storia millenaria, all’essere stata capitale, non solo politica, ma anche economica ed industriale d’Italia ed anche innovativa, se consideriamo cosa e quanto è scaturito da quell’Ivrea che fa parte della sua provincia.

Le note di spicco, non sono solo queste: in ordine sparso, dalla grandezza del suo mercato, Porta Palazzo, all’unicità dei suoi dolci e della sua cucina, dalla reticolo ordinato delle sue strade, all’architettura barocca, con i suoi gioielli come la Mole Antonelliana o la reggia di Venaria, dalla collina che sovrasta il Po, incorniciato tra le vette delle Alpi, dal panorama musicale …

Ce ne sarebbero molte altre di particolarità che meriterebbero di essere segnalate, ma tutto questo era solo un’introduzione che se approfondita avrebbe corso il rischio di diventare noiosa. Tutto questo, era per marcare l’accento su quello che non c’è più, e cosa Torino non è più.

La crisi che la città sta attraversando, si sta accentuando, dopo che l’ultimo colpo di coda delle olimpiadi, aveva restituito un minimo di importanza e di grandezza alla città. La continua emorragia di chiusure di attività e di nomi storici, le continue acquisizioni da parte di altre industrie, interessate solo al marchio, che non faranno altro che portare a nuove chiusure, che porteranno ad un’ulteriore svuotamento della città; un vero e proprio circolo vizioso dove snobismo culturale, incapacità politica, e una buona dose di provincialismo, hanno portato Torino ad essere, come evidenzia Angelo Calemme in “Aspetti del sistema produttivo dell’area metropolitana torinese: industria, logistica, finanza”, <<l’ultima delle metropoli del Centronord, anello di congiunzione col Mezzogiorno, esattamente equidistante tra la prima, Milano (che ha un valore ormai quasi doppio rispetto al capoluogo piemontese) e Messina (ultima)>>.

Tutto questo, per dire che come per Detroit, abbiamo subito un tracollo economico, politico e di immagine, ma che a differenza della città americana, credo (spero) che sia possibile un’inversione di tendenza, avendo una tradizione, una storia ed un tessuto culturale alle spalle, delle potenzialità insomma, con il pensiero che non sia troppo alle spalle e che la politica e la “borghesia”, gli intellettuali se ancora esistono, sappiano e vogliano dare un cambio di direzione a quello attuale, per non diventare una periferia (degradata) di Milano, e per non passare dal riscatto di Gran Torino, al tracollo di Profondo Rosso.

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