25 aprile 2020 Una Resistenza rivissuta

Settantacinque anni fa, nelle piazze italiane vi era gente festante. Convinta di aver chiuso una fase drammatica della propria esistenza individuale e collettiva. I partigiani scesero dalle colline e montagne, per raggiungere le famiglie e scrivere nuove pagine di storia. I tedeschi e i fascisti fino all’ultimo avevano ucciso e violato la libertà, occupato un territorio debole e ferito. Vennero vinti dalla voglia di riscatto morale e sociale.

In un’avvincente sequenza, da Genova a Bologna, da Firenze a Torino, da Padova e Venezia a Milano, per giungere alle varie medie città italiane, le formazioni partigiane, le Sap e i Gap, i nuclei di antifascisti storici, le missioni alleate paracadutate, i parroci e i giovani dissidenti, tutti si trovarono dalla parte della Libertà, contro anni di regime, di alleanze colpevoli con il Führer, di soprusi fascisti e leggi razziali.

Oggi, il Covid-19 e il divieto di assembramento impediscono una partecipazione collettiva fisica. Soccorrono le immagini, le letture in audio trasmesse via mail e con i media. L’informazione tutta, oggi, ha un ruolo insostituibile.

Il 25 aprile non è tuttavia solo memoria e celebrazione. E’ rinnovata adesione e partecipazione alle motivazioni sociali e storiche che produssero quell’evento; è consapevolezza che quell’evento non poteva non accadere, doveva accadere perchè quell’evento fu la risultante di una coralità di impegno e di coraggio di molti italiani.

La storiografia della Resistenza, in decenni di analisi e di ricerca testimoniale-documentale, ci ha offerto molte ricostruzioni, non sempre allineate e monocordi. Talvolta è prevalsa la sensibilità argomentativa politica ed ideologica, altre volte si è affermata una palese narrativa contrappositiva e manichea fra vinti e vincitori; spesso è mancata la percezione di un fatto storico spartiacque, fra un prima sconfitto e un dopo tutto da esplorare.

I contributi più recenti, da Claudio Pavone a Mimmo Franzinelli, da Sergio Luzzatto a Aldo Cazzullo, da Marcello Flores a Gianni Oliva, da Gad Lerner a Carlo Greppi, da Giovanni De Luna a Antonio Scurati, ci stanno offrendo una lettura forte e documentata sulla Resistenza che vinse il fascismo della RSI e l’occupazione tedesca.

E’ sufficiente leggere le pagine di “Noi partigiani” edito in questi giorni da Feltrinelli, opera memorialistica di grande pregio curata da Gad Lerner e Laura Gnocchi, per rinsaldare la verità storica. Il saggio raccoglie una selezione trascritta delle video-interviste agli ultimi partigiani viventi che andranno a comporre l’Archivio multimediale promosso dall’ANPI. La Resistenza fu una grande lotta di riscatto sociale, culturale, di vita collettiva, di libertà di opinione e politica. Non c’è spazio storico per assumere questa lotta soltanto come guerra civile fra fazioni. Si impone invece una lettura chiara e coerente: fu la corraggiosa cesura fra il tempo dell’autoritarismo e del populismo nefandi da un lato e il momento della democrazia rappresentativa e della crescita sociale dall’altro.

Non dimentichiamo i caratteri distintivi della Resistenza. Fu un fenomeno in crescendo:

– Difficile e originale

Dopo l’8 settembre, le truppe tedesche occuparono con molti presidi e postazioni, comandi e depositi di armi e munizioni, ampie aree della pianura padana. Controllarono da subito tutte le vie d’accesso (strade, ponti, ferrovie). I fascisti durante il Regime, i repubblichini dopo l’8 settembre, assicurarono sempre una presenza organizzata in tutta l’area, con strutture e dirigenti operativi. Su queste premesse geografiche e militari, si coglie come fu particolarmente difficile l’esordio della Resistenza. Senza alcun dubbio fu più semplice organizzare le formazioni partigiane nelle valli delle Prealpi o degli Appennini, meno in pianura. Le prime formazioni partigiane ed il primo dissenso esplicito contro l’occupazione tedesca dovettero affrontare rischi significativi. Dovettero contrastare una presenza pervasiva delle forze militari tedesche ed un sostegno sinergico e capillare della RSI.

Fin dal primo avvio, fu una Resistenza originale, perchè sorse dall’integrazione fra il mondo contadino della collina, della montagna e le realtà operaie e borghesi della città, con immediata spontaneità. Il dissenso, il contrasto alla rinascita del fascismo nella RSI e la chiara lotta di liberazione nei confronti dei tedeschi occupanti dovettero subito fare i conti con un nemico tangibile e determinato, la cui presenza sul territorio era diffusa e ramificata.

Le prime formazioni partigiane nacquero per autogenesi, grazie ad un forte radicamento e sostegno della popolazione locale, con caratterizzazioni e dinamiche differenti. Al loro sorgere, le formazioni furono aiutate in modo rilevante dalla presenza e tecnica organizzativa di ex militari, ex alpini, ex carabinieri, ex avieri. Da fine 43’ a metà 44’ le bande partigiane difesero le popolazioni dai saccheggi, dalle violenze dei fascisti e tedeschi sincronizzati, dalle rappresaglie.

– Corale e pluralista

Fin dal suo esordio, la Resistenza si caratterizzò per un’evidente coralità delle matrici ideali-culturali che l’ispirarono. Vi fu la componente comunista, radicata nel territorio e interpretata da episodi di chiaro antifascismo durante il ventennio di Regime, ora rappresentata all’interno del mondo operaio; vi fu la componente cattolica, espressa nelle figure di alcuni vescovi e di molti parroci, nei quadri dell’Azione Cattolica e di molti volontari già operanti nelle organizzazioni sociali cattoliche, nelle staffette partigiane; vi fu la componente socialista, legata alle esperienze operaie e cooperativistiche; vi fu la componente liberale ed azionista, ancorata alla storia culturale del Piemonte e al pensiero politico progressista; vi fu la componente badogliana, ispirata dalla visione patriottica di uno Stato unitario forte e nuovo.

Tutte queste diverse matrici ideali-culturali si mescolarono, in un’alleanza ideale inedita e rafforzata verso una nuova fase storica.

La Resistenza fu corale e pluralista anche per la partecipazione sociale che la caratterizzò.

Al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, nel suo insieme, diedero contributi significativi tutte le componenti sociali di allora: dai giovani studenti liceali ed universitari ai militari, avieri ed alpini, carabinieri; dalle famiglie contadine agli operai ed artigiani della città, alle popolazioni rurali della collina; dagli insegnanti delle scuole superiori ad alcuni professionisti ed imprenditori; dal clero alle organizzazioni sociali cattoliche.

Questa coralità, anche sociale, di impegno contro l’occupante tedesco ha necessariamente interagito con la presenza di alcune comunità ebraiche. Le leggi razziali, la violenza della RSI distrussero le comunità, ma a pari tempo fecero emergere una solidarietà nascosta e diffusa della gente comune, dei parroci verso gli ebrei. Fra le colline si scrissero pagine singolari di soccorso vicendevole, di grande rispetto per l’autentica libertà di fede e di opzione ideologica. Un ruolo significativo, in parte ancora da esplorare completamente, venne svolto da alcune missioni anglo-americane o inglesi paracadutate nel Nord Italia. Le missioni nei mesi precedenti la Liberazione assicurarono armi, munizioni, mezzi ed istruttori per sabotaggi, alimenti, vestiario, radio trasmittenti. Dopo la prima esitazione, gli Alleati riconobbero grande dignità alla Resistenza italiana e la coadiuvarono con mezzi e uomini. Le nostre formazioni partigiane percepirono, quindi, come la lotta di Resistenza ai tedeschi occupanti fosse condivisa anche da altri popoli, da sempre liberi, inglesi ed americani. Si ricordano le cooperazioni e i rischi giocati dai partigiani con le varie missioni correlate con il SIM italiano, con il SOE inglese e con l’ OSS americano.

– Identitaria e fondativa

La Resistenza consolidò, inoltre, proprio per la sua caratterizzazione e per il suo manifestarsi organizzato, una nuova identità di area in molte parti del nostro Paese. Fu proprio così. L’esperienza resistenziale fortemente partecipata da apporti diretti, autorevoli e convinti, contribuì a costruire un pezzo di società.

Fu una Resistenza coraggiosa, originale, identitaria, ma soprattutto fondativa della nuova coscienza civile che, mese dopo mese, stava sorgendo. La Resistenza non fu la sommatoria casuale di eventi, ma costruì, goccia dopo goccia, una nuova sensibilità democratica condivisa.

– Crudele e violenta

L’esperienza resistenziale vissuta fu pesante, in termini di prezzo pagato alla vita.

Nelle città e nelle campagne, fra le colline e le valli montane, si susseguirono scontri, vendette, eccidi, saccheggi, conflitti fra le formazioni partigiane e i tedeschi coordinati con i fascisti, eccidi di civili e di intere bande di ribelli. Eroismo misto a ingenuità, coraggio alternato ad inganni: un bilancio amaro e severo, fino alla vigilia del 25 aprile.

Vi furono momenti di guerra civile, fra italiani, ma fu innanzitutto una guerra per la libertà.

I vincitori hanno vinto anche per i vinti, nostalgici e disorientati.

La Resistenza fu un fenomeno complesso, articolato, a più voci: non è corretta una sua interpretazione manichea e semplificatrice, in chiave contrappositiva. Leggere, conoscere, incontrare nelle pagine di storia i mille fatti, volti, vicende, ideali e talvolta anche sogni, ci deve condurre dalla nuova coscienza civile di allora ad una consapevolezza storica comune di oggi.

La letteratura e il pensiero politico ci aiutano. Da “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino: “Forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia.”

Da ” Il partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio: “E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline “.

Norberto Bobbio, sulla Liberazione così si esprimeva: “Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà”.

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