Siria, coltivare per ricostruire

Il cibo è vita. Dunque occuparsi del cibo è un passaggio fondamentale per ricostruire una comunità dopo una catastrofe o una guerra. Meglio ancora se lo si fa partendo dal basso, dai contadini, dagli agricoltori, dai piccoli produttori, con progetti locali che aiutano le persone a ricucire le proprie condizioni di vita. In questo modo, si possono porre le basi per una rinascita produttiva, sociale, economica. È quello che fanno da anni le organizzazioni del Commercio Equosolidale in vari angoli del mondo. È quello che fa la cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo.

Ed è quello che hanno fatto in collaborazione Slow Food – organizzazione italiana impegnata da tempo nella difesa del cibo di qualità – e la FAO, emanazione dell’ONU che si occupa di agricoltura e alimentazione, con un progetto dedicato alla Siria, una delle regioni più martoriate della terra a seguito del sanguinoso conflitto interno che l’ha dilaniata per anni e di cui ancora restano i postumi.

Nelle scorse settimane, sette donne siriane che vivono di agricoltura domestica hanno avuto la possibilità di visitare alcune comunità agricole di Piemonte e Liguria, dove sono stati loro illustrati i metodi di produzione tradizionali di alimenti di alta qualità, fino alla fase di commercializzazione, in modo che al loro rientro in patria possano trasmettere quanto appreso dai nostri produttori. Inoltre, sono state inserite nella rete globale di agricoltori creata da Slow Food allo scopo di facilitare momenti di confronto e scambi di esperienze fra coloro che per mestiere producono cibo. L’obiettivo è quello di aiutare le comunità di un Paese che vive la crisi del dopoguerra a rilanciare la propria agricoltura, rafforzando i propri mezzi di sussistenza.

Le realtà coinvolte nel progetto lavorano con tecniche biologiche e artigianali, confezionando vari alimenti di elevata qualità fra cui prodotti lattiero-caseari, olio, miele, pane e verdure. Produzioni generalmente replicabili in territorio siriano, in particolare nelle zone in cui operano le coltivatrici coinvolte nel progetto, ovvero i governatorati di Homs, Hama, Lattakia, Tartous, Aleppo. Sweida, e Al Qunatra. Al momento, queste agricoltrici operano su piccoli appezzamenti – meno di mezzo ettaro – portando avanti un’attività di tipo familiare, ognuna con una produzione specifica (fichi, miele, marmellate, sottaceti , concentrato di pomodoro, formaggi…) che potrà essere affinata con le nozioni ricevute o integrata con nuove coltivazioni.

La trasmissione di saperi agricoli avanzati è particolarmente importante per queste produttrici, che si trovano a operare in regioni semi-aride dove, oltre alle intuibili difficoltà create dalla devastazione della guerra, diventeranno sempre più impattanti gli effetti dei cambiamenti climatici indotti dal riscaldamento globale. Per affrontare condizioni sempre più critiche, sarà indispensabile per loro adottare tecniche di agricoltura di precisione, ecologiche e sostenibili, in grado di mantenere la fertilità dei suoli e ottimizzare le scarse risorse idriche.

Esattamente ciò che si è cercato di trasmettere loro grazie alla disponibilità dei nostri produttori di eccellenza nel condividere i propri saperi tradizionali e innovativi, in un incontro fra culture che è solo l’inizio di un percorso di scambio e implementazione delle reciproche conoscenze. Un’iniziativa dunque che parte come un piccolo seme, destinato a germogliare e produrre frutti in terre lontane, ma non distanti.

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