Repubblica Ceca: più Usa che Unione europea

Un viaggio nei Paesi dell’est europeo è una bella occasione per vedere da vicino le aree più critiche del vecchio continente. E sotto questo profilo la Repubblica Ceca, il cui premier è l’imprenditore Andrej Babis, alla guida di una coalizione tra euroscettici e socialdemocratici con l’appoggio esterno dei comunisti, si rivela un importante punto di osservazione.

Assieme all’Ungheria, alla Polonia e alla Slovacchia è parte di quel gruppo di Visegrad che è un po’ il ferro di lancia del cosiddetto sovranismo, l’ideologia nazional-populista che tra mettendo in notevole difficoltà il percorso di integrazione europea. Oppure – dando retta a Winston Churchill il quale sosteneva che di ogni problema bisognerebbe fare un’opportunità – costituire lo stimolo per dare un nuovo impulso all’europeismo. E, a ben vedere, questo è davvero la miglior risposta all’attuale crisi dell’Unione da cui si può uscirne solo con un nuovo slancio.

Piccola ed interessante vetrina della Repubblica Ceca sull’Europa può venir considerata Karlovy Vary: città termale, incastonata tra le boscose colline dei Sudeti dove si respira un’aria mitteleuropea. La città, un tempo patria della minoranza tedesca, venne poi annessa al Reich con il patto di Monaco ed è oggi una vivace località turistica dove ogni anno, in luglio, si celebra un festival cinematografico che, sebbene meno conosciuto dei più famosi Cannes e Venezia, rappresenta comunque un importante appuntamento per il mondo artistico.

Anche qui come a Praga si guarda con un certo compatimento alla Slovacchia che è entrata nell’euro. Un’adesione che, tutto sommato, è sorprendente. Delle due regioni della vecchia Cecoslovacchia, era infatti la Slovacchia (capitale Bratislava, a un passo dal confine austriaco), quella che poteva essere la meno incline all’ingresso nella moneta unica. Essa era la regione economicamente più arretrata, dedita all’agricoltura più che all’industria e con scarso dinamismo nel settore terziario. Ben poco cosmopolita rispetto alla Repubblica Ceca che invece è rimasta fuori dall’euro e non sembra pentita della propria scelta.

Non vi è alcuna nostalgia per la vecchia unità del Paese, quando, per l’appunto, c’era la Cecoslovacchia. Quasi tutti dicono che le due regioni hanno fatto bene a separarsi in quanto erano troppo diverse tra loro e, alla fine, dopo decenni di forzata convivenza non si sopportavano più. Meglio allora andare ciascuno per la propria strada e, va detto, tutto avvenne con rapidità e in modo estremamente civile. E’ una storia complessa quella ceca: nazione vittima delle due più terribili ideologie del XX secolo contro le quali venne condotta una sanguinosa lotta per l’indipendenza nazionale: nel 1939 contro la Germania nazista e nel 1968 contro la Russia comunista.

Vicende pesanti per un Paese così piccolo. Per scoprirlo basta andare a Lidice, venti chilometri a nord ovest di Praga, il villaggio cancellato nel 1942 dai nazisti per vendicarsi dell’assassinio di Reinhard Heydrich, il feroce governatore della Boemia occupata. O recarsi nel luogo ove si immolo’ nel 1969 lo studente Jan Palack per protesta contro l’occupazione sovietica.

Orgoglio e dignità nazionale, questi i segni distintivi di questo popolo coraggioso. Nello stesso tempo però emerge anche un certo opportunismo nei confronti dell’Unione europea, accompagnato da una grande apertura verso gli Stati Uniti, Nelle grandi superfici commerciali campeggiano le principali marche di scarpe, vestiti o quant’altro, come non si trovano in Italia. Neppure a Milano o Roma. D’altronde, nell’est liberato dal comunismo, gli Stati Uniti sono il vero simbolo della libertà e l’appartenenza alla Nato è certo più sentita che quella all’Unione. Difficile dire se sarà così anche in futuro, per adesso a Praga e dintorni, questo è però il sentimento dominante

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