Rapporto GCAP Italia, il diritto al Cibo richiede la coerenza delle politiche

Il Rapporto di GCAP Italia (Global Call to Action Against Poverty cui è affiliata la Coalizione Italiana contro la Povertà) sul diritto al cibo coglie nel segno, l’impostazione, a mio parere, è quella giusta in quanto dimostra che il problema della fame, come del resto anche quello della lotta alla povertà, non si risolve con interventi di nicchia, ma con un approccio olistico, vale a dire che tira in ballo le politiche generali.

Gianni Bottalico, a destra, alla presentazione del Rapporto Gcap, Roma, 4 luglio, 2019).

Per quanto evidente ed ovvio che sia, è sempre bene ricordare che l’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 della lotta alla fame e per la sicurezza alimentare e un’agricoltura sostenibile, rimarrà disatteso sinché si continueranno a fare politiche economiche e monetarie di segno completamente opposto. Ciò è avvenuto in modo plateale nel Paesi poveri verso i quali il Fondo Monetario Internazionale ha imposto dei piani di aggiustamento strutturale e dei piani di consolidamento del debito. Ovunque siano state applicate queste ricette fatte di liberalizzazioni e privatizzazioni hanno contribuito all’impennata della disoccupazione strutturale, all’esodo rurale e alla precarizzazione delle condizioni di vita di milioni di persone, allo smantellamento dei servizi pubblici e alla svendita, di solito in mani straniere, dei beni comuni.

Anziché riconoscere il fallimento di questi piani, oggi essi vengono riproposti nei Paesi un tempo ricchi, nella nostra Europa, con il caso limite della Grecia dove tali politiche hanno causato l’aumento della mortalità infantile per denutrizione e per insufficienza o mancanza delle necessarie cure mediche. Ma in tutta l’Europa disuguaglianza e povertà sono in costante aumento e sempre più spesso i salari non assicurano più al lavoratore «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa», come invece sancisce ed esige l’articolo 36 della Costituzione italiana.

Dunque, questo Rapporto costituisce un’occasione per definire i punti che devono essere cambiati perché risultano incompatibili con il diritto di tutti al cibo nell’ottica dell’importanza di un approccio coerente alle politiche di sviluppo per vincere la sfida della sicurezza alimentare. Alcuni fra i punti principali mi pare siano i seguenti:

Occorre interrompere il sostegno unilaterale alle politiche dell’agrobusiness che provoca danni dell’ambiente e della piccola proprietà, è responsabile dell’impennata dei prezzi alimentari, che ha arricchito una manciata di speculatori e scaraventato nella fame milioni di persone: oggi al mondo 60 Paesi e più di 2 miliardi di persone patiscono l’insicurezza alimentare, in piena contraddizione con gli Obiettivi dell’Agenda 2030 e con la Carta dei Diritti Umani.

Occorre riconoscere l’insostenibilità alimentare, ambientale e sociale delle attuali misure di sovvenzione alla produzione dei biocarburanti e la necessità di fornire un sostegno più convinto alla piccola produzione agricola, che produce posti di lavoro, valorizza la biodiversità e minimizza l’impatto ambientale. In Italia in particolare si deve prestare molta attenzione al concetto di multifunzionalità dell’agricoltura. Ciò significa riconoscere che l’attività agricola è molto di più della produzione di un prodotto, ma è nel contempo, se non piegata alla logica della massimizzazione del profitto, manutenzione del territorio in funzione turistica ed anche di prevenzione dai rischi idrogeologici. Tutte attività che dovrebbero confluire in un bilancio sociale dal quale verrebbe evidenziato che il mondo agricolo dà molto di più alla comunità degli eventuali sussidi che riceve.

Dunque, in questa ottica il Rapporto segnala opportunamente che non si può proseguire sulla via del taglio agli investimenti e ai contributi pubblici, di ulteriori liberalizzazioni, come ad esempio quelle dei trattati commerciali internazionali, come il Ttip, fallito per fortuna, ma, occorre riconoscerlo, non per volontà italiana né europea, come il Ceta, l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada che invece è riuscito a passare, o come il recente caso del famigerato accordo con il Mercosur, il mercato comune sudamericano, che è di stretta attualità. Il 28 giugno scorso, infatti, la Commissione Europea ha siglato,, un gigantesco accordo commerciale con Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay). Gli agricoltori europei evidenziano il fatto che l’apertura alla concorrenza dei prodotti agricoli di Argentina e Brasile distruggerà le loro filiere di produzione agricola a km zero.

In tal senso appare giustificata la critica che il Rapporto rivolge ai collegi arbitrali (Isds) che regolano i trattati commerciali internazionali e che, di fatto si pongono, al di fuori e al di sopra della democrazia e delle giurisdizioni nazionali e comunitarie.

Così pure appare motivata la condanna del land-grabbing, l’accaparramento delle terre, businnes nel quale, è bene ricordarlo in questi giorni in cui si discute di rinnovo di concessioni autostradali, e a poco più di un mese dal primo anniversario della tragedia del ponte di Genova, si sono gettati anche importanti gestori privati di monopoli naturali. Con i proventi dei pedaggi degli automobilisti italiani, anziché badare alla manutenzione e alla sicurezza delle infrastrutture della rete stradale, si sono usati gli eccessivi profitti per accaparrarsi privatamente vasti territori della Patagonia.

Così va ricordata anche, tra le peggiori forme di speculazione finanziaria, quella sul cibo, sulle commodities come le granaglie, che ha affamato numerosi popoli, rendendo proibitivo il costo del pane, dei cereali, degli alimenti essenziali. Speculazione che è stata, non lo dimentichiamo, fra le cause scatenanti delle cosiddette “primavere arabe”, dal 2011 e delle destabilizzazioni, delle guerre e ondate di profughi che ne sono seguite.

In conclusione, dal Rapporto si evince la necessita di lavorare per:

introdurre un quadro normativo che costringa le imprese private a regolare i propri investimenti in ogni angolo del pianeta su criteri di legalità, responsabilità e rispetto dei diritti umani;

riformare la finanza globale, riportandola al servizio della persona e dell’economia reale e non più, come giustamente denuncia il Rapporto, come fenomeno fine a se stesso;

un deciso stop agli accordi commerciali internazionali senza il necessario controllo democratico;

il sostegno e l’incentivo al processo di de-globalizzazione,

In un contesto globale sempre più inesorabilmente interconnesso questa è la via per affermare la coerenza di tutte le scelte politiche passibili di impattare sulle vite delle persone, in primis quelle sull’alimentazione, dagli indirizzi macro-finanziari a quelli ambientali, con le finalità della promozione dei diritti umani e della lotta alla povertà e alla fame. Se capiremo l’importanza di un approccio coerente alle politiche di sviluppo per vincere la sfida della sicurezza alimentare, avremo posto le basi, di qui al 2030, per fare dei passi in avanti importanti per affermare il diritto universale al cibo.

Come ha scritto papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, per affermare tale diritto, in ultima analisi, occorre superare quelle «ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune». La democrazia deve uscire dalla subordinazione all’economia e alla finanza in modo da poter attuare quelle riforme che da troppo tempo sono disattese.

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