Preti operai, Chiesa e lavoro

La recente morte, avvenuta a 92 anni, di don Carlo Carlevaris, riporta alla mente la straordinaria esperienza dei preti operai. Sacerdoti che andarono a lavorare in fabbrica condividendo la fatica della produzione e vivendo il Vangelo sul luogo di lavoro. Non già cappellani con compiti di assistenza spirituale ma operai veri e propri, esattamente come gli altri. Un’esperienza maturata in Francia negli anni Cinquanta per colmare il distacco che si era venuto a creare tra la Chiesa e il mondo del lavoro. Una missione dal basso, la Chiesa “in uscita” dell’epoca, fianco a fianco agli operai, condividendo le loro difficoltà quotidiane e la durezza dei ritmi produttivi. Un percorso che in Italia venne avviato in diverse città e che vide in prima linea Torino, luogo per eccellenza del lavoro in fabbrica.

In realtà non è che la Chiesa soltanto nel secondo dopoguerra scoprisse, d’improvviso, l’esistenza dei problemi dei lavoratori. Sin dal 1891 con la Rerum novarum, essa aveva posto la sua attenzione sulla cosiddetta questione sociale. Il capitalismo stava mostrando infatti il suo noto ed abituale, ieri come oggi, volto dello sfruttamento dei lavoratori, relegando il lavoro umano a mero fattore della produzione. Una merce come un’altra. Tutto questo mentre il socialismo proponeva, come via di uscita, la lotta di classe e la rivoluzione che avrebbe cambiato tutti gli assetti sociali.

Ecco allora emergere il pensiero cattolico sociale, ispirato non alla contrapposizione ma alla collaborazione delle classi con la ricerca di un terreno di azione sindacale per conquistare e difendere nuovi diritti. Con la Dottrina sociale la Chiesa voleva anche superare quella separazione che da tempo si era prodotta con il mondo operaio, sensibile alle sirene socialiste. Per ricomporre questa frattura vi era dunque la necessità di entrare nei luoghi di lavoro, perché laddove l’uomo lavora e produce, là è il posto naturale della Chiesa, in quel suo camminare con la vita delle persone che è la missione inscritta nel Vangelo. Ed allora che i preti operai furono uno degli elementi per avvicinare fede e lavoro, trovandosi a contatto con ambienti che erano stati permeati dall’ideologia marxista. A Torino, il cardinale Michele Pellegrino appoggiò questa iniziativa che si concretizzò anche nella nascita della Pastorale del Lavoro. Carlevaris fu uno dei sacerdoti che entrarono in fabbrica e avviarono nel concreto questa esperienza che coinvolse molti altri preti.

Oggi molte cose sono cambiate e anche questa esperienza è in qualche modo stata superata da nuove realtà. Più che mai resta però intatto l’impegno della Chiesa nel valorizzare il lavoro come momento fondante con cui l’uomo, con la sua volontà e la sua intelligenza, partecipa, per quello che gli è possibile, al grande disegno della creazione divina. Il lavoro umano rende bello il mondo e, pur nella fatica che lo accompagna, fornisce pienezza all’esistenza stessa delle persone. In questo sta il suo primato assoluto rispetto al capitale economico e finanziario, pur indispensabile alla buona riuscita dell’impresa. Da questo deriva l’impellente necessità di tutelare diritti e salario dei lavoratori, affinché possano condurre una vita dignitosa per sé e per i propri familiari.

La Chiesa continua a fare la propria parte, Ad esempio nel respingere i tentativi, che ormai appartengono persino ad un certo falso riformismo, di estendere a tutti i settori produttivi il lavoro domenicale, con una liberalizzazione degli orari che in realtà è soltanto una moderna schiavitù dominata da un illimitato consumismo. Chi invece latita è ancora la politica, incapace di promuovere il lavoro come elemento centrale della nostra società, cominciando dall’istituzione di un salario minimo per legge o dalla penalizzazione contributiva per qualsiasi forma contrattuale diversa dal lavoro a tempo indeterminato. Il cosiddetto decreto dignità, in discussione in questi giorni, va nella giusta direzione ma certo non basta.

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