La famiglia al centro: fatti non parole

 La 47° Settimana sociale dei cattolici tenutasi a Torino si è interrogata sul senso e sul ruolo della famiglia nella società di oggi. Tema che, a dire il vero, dovrebbe interessare un po’ tutti e non risultare materia quasi in appannaggio al solo mondo cattolico. La famiglia è infatti uno snodo cruciale della nostra esistenza, cellula naturale e primaria nella quale nascono e crescono i nostri figli e, come tale, bisognosa della massima protezione da parte della società. Molto deve esser fatto per contrastare innanzi tutto quella crisi di natalità che da troppo tempo affligge l’Occidente industrializzato e, in particolare, i Paesi latini, ad eccezione della Francia, da sempre all’avanguardia nelle politiche familiari.

Ultimamente intorno alla famiglia hanno soprattutto tenuto banco le nozze gay con l’approvazione, un po’ ovunque nei Paesi occidentali, di legislazioni che giungono addirittura a ricomprendere il diritto di adottare dei figli. Testimonianza della confusione antropologica su quella che è la famiglia stessa, da parte di una società che arriva a stravolgere gli insostituibili ruoli paterno e materno, inscritto nel codice stesso della natura umana.

Ma non è solo di questo che occorre parlare quando si discute di famiglia perchè altri rischi, non meno insidiosi giungono ad indebolirne le fondamenta. C’è un’intera organizzazione sociale e produttiva che pare totalmente prescindere dalla esigenze familiari. Si assiste da tempo ad una deriva materialista basata sul mercato, sull’uomo inteso come mero consumatore. Una deriva rispetto alla quale la famiglia rappresenta qualcosa di poco congegnale poiché è evidente l’antitesi esistente tra la gratuità su cui essa si fonda e quel mercantilismo che va per la maggiore, nell’idea che tutto abbia, comunque, un prezzo e tutto, dunque, possa risultare mercificabile.

Proviamo a fare qualche concreta esemplificazione. Si pensi innanzi tutto al lavoro domenicale che sempre più sta investendo ampie fasce di occupati. Un tempo la domenica era giornata lavorativa solo per alcuni servizi essenziali: forze dell’ordine, trasporti, ospedali, qualche raro esercizio commerciale come bar o edicole. Oggi oltre all’indispensabile si è aggiunto il superfluo. Risulta così sempre più diffusa l’apertura festiva di centinaia di centri commerciali delle più svariate dimensioni ed un numero sempre maggiore di persone si trova, suo malgrado coinvolto. Dal punto di vista economico la cosa viene giustificata per i riflessi positivi che avrebbe sulla crescita del Pil. Qualcosa che in realtà andrebbe meglio analizzata poiché il vantaggio sembrerebbe limitato a qualche decimale di punto. Forse persino meno. Certo, in tempi di crisi qualcuno potrebbe trovare preziosi pure questi decimali in più, ma siamo davvero sicuri che ciò rappresenti un’autentica conquista sociale? Qui l’unica certezza è la penalizzazione della vita di migliaia di famiglie, le nostre di cittadini normali, catapultate in ritmi che rendono impossibile quello stare tutti insieme che, in fondo, è alla base del nostro vivere.

Un altro aspetto è la quasi assoluta mancanza di conciliazione tra la vita familiare e produttiva. A parte infatti qualche grande azienda del terziario, ove più facilmente può consentirsi una qualche forma di flessibilità a favore di chi lavora, in quasi tutti gli altri comparti gli orari lavorativi non tengono in alcun conto le esigenze della famiglia e le turnazioni spesso coinvolgono anche le donne. Qui peraltro ci sarebbe da domandarsi quale giovamento abbiano avuto le donne dall’estensione di alcune regole produttive da cui erano esentate a tutela della condizione femminile. C’è da chiedersi se questo non sia il pedaggio pagato ad un’astratta eguaglianza che, forse, fa comodo a chi intende superare culturalmente le differenze tra i due sessi, nel segno della cosiddetta “teoria del genere”.

Oltre tutto questi ritmi produttivi con orari che mal si conciliano con i tempi della famiglia non sono accompagnati da adeguati e diffusi servizi (scuole, asili, ecc…) che consentano di ovviare all’inconveniente a costi sostenibili. Molte donne sono così costrette ad abbandonare il lavoro o, peggio, indotte a posticipare di molto la maternità concorrendo a quell’inevitabile diminuzione delle nascite che, purtroppo, costituisce un po’ l’emblema della società odierna.

Molte sono dunque le questioni che ruotano attorno alla famiglia, non ultima quella dei carichi fiscali che la penalizzano. Bene pertanto riflettere a fondo sulle dinamiche familiari e su come realizzare sempre più efficaci forme di tutela e di protezione. E’ necessario che la politica sappia cogliere l’importanza della valorizzazione della famiglia, vero e proprio cardine del nostro futuro, passando finalmente dalle parole ai fatti. Da troppi anni, in Italia, si parla e si discute di famiglia senza fare nulla.

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