Massacro di Srebrenica: giustizia è fatta

Giustizia è fatta. Nelle settimane scorse il Tribunale penale internazionale di L’Aia in Olanda, ha pronunciato una sentenza di condanna all’ergastolo per il generale serbo-bosniaco Ratko Mladic, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per il massacro di Srebrenica avvenuto nel 1995 nella ex Jugoslavia. Il peggior eccidio in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Il verdetto arriva al termine di un processo che in primo grado, autunno 2017, aveva già emesso un giudizio di colpevolezza contro l’uomo che, all’epoca dei fatti, guidava i miliziani serbo-bosniaci autori della pulizia etnica della città abitata in larga prevalenza da popolazione musulmana. Con questa condanna si chiude, dal punto di vista giudiziario, una delle più tragiche pagine della guerra civile che negli anni Novanta portò al disfacimento della Jugoslavia. Una guerra, nel cuore del continente europeo, che causò più di 100mila morti, costringendo quasi due milioni di persone ad abbandonare la propria casa.

A Srebrenica, in due settimane, tra l’11 e il 25 luglio 1995, fu compiuto un genocidio. Le milizie di Mladic, con il sostegno politico dell’allora presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, Radovan Karadzic (condannato nel 2019 per gli stessi capi di imputazione), ammazzarono e gettarono poi nelle fosse comuni circa 8mila musulmani. Compresi molti ragazzi di 16-17 anni. L’attacco della città, situata nel nord-est della Bosnia, al confine con la Serbia venne pianificato per cancellare qualsiasi presenza musulmana.

I serbo-bosniaci si giovarono delle esitazioni del contingente Onu chiamato a proteggere la popolazione locale musulmana. I caschi blu, sotto l’egida olandese, tardarono a reagire di fronte all’offensiva di Mladic, dando tempo alle milizie di condurre a termine l’uccisione di massa.

In anni successivi, messi alla sbarra dinanzi ai giudici internazionali, i serbo-bosniaci tentarono di giusticare il misfatto sostenendo che si era trattato di una risposta a precedenti attacchi musulmani contro la popolazione civile serba che avevano provocato migliaia di morti. La realtà dei fatti smentisce però questa ricostruzione di comodo. I serbi uccisi ammontarono a qualche centinaio, non certo il numero indicato da Mladic e sodali, a causa di normali operazioni di guerra, soprattutto in seguito ai pesanti bombardamenti aerei. Nessuna azione di terrorismo da parte musulmana né, tanto meno, una mirata pulizia etnica.

A livello internazionale la Serbia ha sempre disconosciuto qualsiasi responsabilità, anche solo indiretta, su quanto avvenuto a Srebrenica. Per Belgrado si trattò di iniziative decise, in piena autonomia, da Karadzic, leader indiscusso della Bosnia. Tutto vero, ma resta indiscutibile il fatto che tra i nazionalisti serbi Mladic viene considerato alla stregua di un patriota.

I tribunali stigmatizzarono anche il comportamento delle truppe olandesi, poco reattive nel bloccare l’avanzata dei miliziani di Mladic. L’inchiesta ha poi concluso che, con gli armamenti in dotazione il presidio Onu non fosse in grado di fronteggiare efficacemente i carri armati serbo-bosniaci e, tranne qualche incursione aerea, non gli fu possibile, in un così breve lasso di tempo, disporre di idonei rinforzi,

E’ certamente un bene fare luce su tutte le possibili e più remote concause che possono, in qualche modo, aver influito su quanto accaduto. Al di là di tutto però, quello che realmente conta è che con l’odierna condanna di Mladic siano finalmente riconosciute le responsabilità di chi ha commesso queste atrocità. E, cosa ancora più importante, che venga riaffermata, nel modo più netto, l’imprescrittibilità di crimini di questa portata, sancendo il fatto che la giustizia internazionale, presto o tardi, giunge comunque a fare il suo corso.

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