Claudio Vercelli – Frontiere contese a nordest

Lo storico Claudio Vercelli, nel suo ultimo libro “Frontiere contese a Nordest” (edizioni del Capricorno), si occupa dell’Alto Adriatico, tracciandone la storia, sin dai tempi dell’Impero romano, per poi soffermarsi con particolare attenzione sulle complesse vicende del confine italo-jugoslavo della prima metà del XX secolo. Un periodo di acceso nazionalismo che finì per rendere impossibile quella convivenza tra genti diverse: italiani, slavi e tedeschi che nei secoli precedenti aveva in qualche modo trovato un suo equilibrio.

Come ben sappiamo, dopo la Prima guerra mondiale l’Italia ottenne il Trentino e la Venezia Giulia. Con quelle due nuove regioni poteva dirsi conclusa la grande stagione risorgimentale, in quanto il nostro Paese aveva finalmente raggiunto le sue frontiere naturali. Fu però anche la prima volta che il Regno d’Italia si trovava a conglobare, con la minoranza slava della penisola istriana, una popolazione non di nazionalità italiana.

Se infatti sulla fascia costiera dell’Istria gli italiani erano in netta preponderanza, non così succedeva nel suo interno abitato da una non indifferente quota, almeno il 40 per cento, di nazionalità slava. L’Italia veniva chiamata cioè a confrontarsi con una realtà culturale e linguistica, estranea alle vicende del Risorgimento e alla sua stessa storia. Una situazione inedita anche se non propriamente inattesa.

A cambiare il quadro intervenne anche la nascita, per certi versi, non prevista della Jugoslavia dall’unione di serbi, croati e sloveni. La presenza di uno Stato slavo unitario rese inevitabile la modifica delle condizioni del patto di Londra, che l’Italia aveva stipulato con le nazioni dell’Intesa nel 1915. Tranne la città di Zara, il resto della Dalmazia, inizialmente assegnato al nostro Paese, ma a larga maggioranza slava, venne infatti annesso alla neonata Jugoslavia, in base al principio di nazionalità. Gli animi erano surriscaldati. L’Italia per rinunciare alla costa dalmata chiedeva Fiume, città a maggioranza italiana, ma al tempo stesso alcune correnti nazionaliste serbo-croate, in nome del panslavismo, volevano addirittura Trieste e l’Istria. Anticipando, in buona sostanza, quello scenario, a noi sfavorevole, che si sarebbe materializzato venticinque anni dopo alla fine del secondo conflitto mondiale.

Le pretese territoriali jugoslave, in quel momento, non sortirono alcun effetto concreto poiché l’Italia, uscita vincitrice dal conflitto, aveva una forza contrattuale assai solida. In ogni modo, proprio tenendo conto di queste tensioni, saggio sarebbe stato, da parte nostra, creare le condizioni di un’accettabile convivenza con la minoranza slava presente entro i nostri confini. Il ventennio fascista rappresentò invece una smodata esaltazione dell’italianità e fu caratterizzato da una sistematica repressione anti-slava. Di certo erano ormai lontani i tempi dell’impero Austro-ungarico con quell’ombrello cosmopolita che, pur tra qualche dissapore, aveva fatto convivere le diverse popolazioni dell’Alto Adriatico. Con il fascismo prevalse soltanto una logica di sopraffazione, culminata nel 1941 con l’attacco alla Jugoslavia. La situazione precipitò nel biennio 1943-45 quando tornò ad essere preminente quel nazionalismo slavo che già nel 1918 sognava di metter le mani sull’intera Venezia Giulia.

Tutto quello che accadde in seguito – dalle migliaia e migliaia di persone uccise nelle foibe alla feroce persecuzione degli italiani – è il frutto avvelenato del revanscismo slavo. Un risentimento covato sotto la cenere nei venti anni del fascismo ed ancor più accentuato con l’occupazione italiana di Slovenia e Dalmazia nella Seconda guerra mondiale, fece da detonatore ad una reazione feroce da parte slava. Ne scaturì, a partire dal 1945, con il nostro Paese ormai sconfitto, una vera e propria pulizia etnica nei confronti degli italiani. Un tragico scenario, di micidiali ed inconciliabili tensioni nazionaliste, nel quale le vittime furono gli italiani dell’Istria, costretti ad abbandonare per sempre la propria terra, perchè in quella terra l’Italia non poté più tornare.

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