I giovani né-né: né lavoro, né studio

I dati Istat – media annuale 2010 – mostrano che il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni ) in provincia di Milano, è stato pari pari al 21,5% (23,2% nel 2009), evidenziando in tal modo un’inversione di tendenza rispetto all’anno precedente. Confrontando tale dato con il 2008, è possibile notare come l’indicatore sia al contrario cresciuto di 7,6 punti percentuali. Occorre inoltre rapportare il tasso di disoccupazione a quello di attività (15-24 anni) – rapporto tra forze di lavoro e popolazione di riferimento – che nel 2010 si è attestato al 29,7%, diminuendo di 2,3 punti percentuali rispetto al 2009. Va segnalato anche un calo del tasso di occupazione giovanile che è passato dal 24,5% del 2009 al 23,3% del 2010.

La crisi che stiamo vivendo, da qualche anno ha riportato in primo piano come emergenza nazionale il tema della disoccupazione, che paradossalmente aveva toccato il minimo storico nel 2007, proprio alle soglie delle difficoltà di oggi. Della disoccupazione giovanile si parla molto ma si continua a fare poco: una prima sottolineatura riguarda come tale fenomeno venga “letto” e interpretato – talvolta in modo non corretto – con la conseguenza di proporre riflessioni spesso inesatte.

Come riportato sopra, per comprendere le dinamiche occupazionali, occorrerebbe sempre confrontare il tasso di disoccupazione con quello di attività, ovvero la propensione a rimanere nel mercato del lavoro. Negli ultimi periodi capita di leggere titoli di quotidiani i quali denunciano che circa “un giovane su tre è senza lavoro”: ciò, però, non è corretto in quanto l’indicatore non viene giustamente interpretato.

Il tasso di disoccupazione si calcola come un rapporto tra gli individui in cerca di occupazione (i cosiddetti disoccupati) e le corrispondenti forze di lavoro (somma degli occupati e individui in cerca di occupazione) su una data popolazione di riferimento: osservando a livello nazionale il tasso di disoccupazione 15-24 anni (27,8%) e il tasso di attività 15-24 anni (28,4%) relativi al 2010, si può affermare che meno di un giovane su tre fa parte delle forze di lavoro, e tra questi meno di 1/3 è alla ricerca di un’occupazione. Riepilogando, possiamo affermare che a livello nazionale su 100 giovani, circa 28 partecipano al mercato del lavoro (di cui circa 8 sono disoccupati – e non uno su tre, come spesso si legge – e circa 20 lavorano). Di fronte a tali analisi è necessario però chiedersi: dove sono e cosa fanno i giovani (quasi 7 su 10) che non partecipano al mercato del lavoro?

La grave crisi occupazionale che investe le nuove generazioni nel nostro paese oltre a far interrogare sul numero crescente di giovani disoccupati, e al numero decrescente di giovani che partecipano al mercato del lavoro, dovrebbe inoltre soffermarsi sul reale problema dei cosiddetti giovani “né-né”, ovvero che né lavorano né studiano e dunque che non stanno svolgendo nemmeno stage curricolari e quindi sono fuori dal circuito formativo e dai percorsi professionali.

Al di là di queste considerazioni, è utile soffermarsi su un sondaggio di gennaio 2011 proposto da Job – mensile di approfondimento della Cisl di Milano – svolto tra i giovani tra i 18 e i 34 anni residenti nella città di Milano, il quale mostra come la metà degli intervistati sostenga che il salario sia la componente che pesa maggiormente nella scelta del lavoro. I risultati del sondaggio mettono in evidenza come l’aspetto economico prevalga sullo status professionale oltre che sull’inquadramento contrattuale: come sottolinea Danilo Galvagni –segretario generale della Cisl milanese – per i giovani intervistati la priorità è il mantenimento dell’attività lavorativa che consenta loro di costruire un progetto di vita autonomo. I giovani però necessitano anche di una maggiore facilità di accesso al credito per investire sulle proprie conoscenze, programmare una famiglia, intraprendere un’attività.

Alle organizzazioni dei lavoratori spetta il compito di essere parte attiva nella creazione di una rete di opportunità che possano fare incontrare domanda e offerta di lavoro: a questo proposito, istruzione e formazione devono essere funzionali per affrontare tale questione. In questa direzione gli enti bilaterali possono realmente essere una risorsa per operare attivamente non solo per la formazione e la qualificazione professionale, ma anche in settori quali la previdenza, la sanità e l’assistenza per estendere le tutele al mondo del lavoro autonomo, dei parasubordinati e del “popolo” delle partite Iva.

Oltre a ciò, l’insicurezza generata dallo scoraggiamento di non riuscire a trovare una posizione lavorativa rischia di allontanare gli stessi giovani dal mercato del lavoro, diminuendo in tal modo i tassi di partecipazione: a tale riguardo, negli ultimi mesi si sono verificati ulteriori andamenti negativi degli indicatori a livello nazionale, all’interno di un quadro già molto complesso. Le giovani generazioni hanno per prime subìto la crisi economica: infatti non tutti coloro che hanno perso il lavoro hanno potuto usufruire degli ammortizzatori sociali, tra questi i collaboratori, le partite Iva, i lavoratori parasubordinati; e, come noto, tali contratti sono molto diffusi tra i giovani.

(Tratto da Osservatorio Lavoro, ANNO 3 – Numero 2 suppl. Giornale dei lavoratori)

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