Ripartiamo dalla terra

Durante la quarantena abbiamo riscoperto due cose importanti: l’orgoglio di essere italiani e l’apprezzamento per il buon cibo genuino. Combinati insieme, questi due aspetti diventano naturalmente un inno all’enogastronomia italiana, eccellenza riconosciuta a livello planetario, in ogni aspetto della filiera, dal campo alla tavola. Questa rinnovata presa di coscienza è alla base dell’appello ”Ripartiamo dalla terra” lanciato qualche settimana fa da Slow Food, con l’adesione di grandi nomi dell’alta cucina italiana.

Tra gli altri, Massimiliano e Raffaele Alajmo, titolari di un ristorante pluristellato, hanno dichiarato «Un Paese che dimentica la terra è un Paese debole, un Paese che non valorizza i suoi contadini, pescatori, pastori” e «La cucina italiana è una lunga catena dalle maglie fitte, ogni maglia rappresenta un contadino, un allevatore, un casaro, una trattoria, un ristorante, un’osteria, un pescatore, un vignaiolo, un pastaio. Oggi questa catena è più fragile, molti anelli si sono indeboliti e necessitano dell’aiuto di tutta l’Italia prima che si spezzi».

L’appello, rivolto al Governo, è stato sottoscritto da oltre 7.000 fra cuochi, artigiani del cibo, contadini, allevatori, accademici, politici e cittadini. La richiesta è di sostenere con azioni concrete una ristorazione di qualità che si fondi a sua volta su di una agricoltura che rispetti la salute e l’ambiente.              

Dopo l’emergenza sanitaria, ora per contrastare la crisi economica è necessario, tra le molte altre cose, valorizzare la filiera enogastronomica del nostro Paese, privilegiando le produzioni autoctone e di qualità, a partire dagli agricoltori fino a coinvolgere i consumatori, per il tramite dei ristoratori. A partire, naturalmente, dai coltivatori su piccola scala, spesso schiacciati dalla produzione agroalimentare industriale e dalla grande distribuzione commerciale. Occorre invece recuperare un legame stretto con le produzioni del territorio, grazie anche all’impegno dei ristoratori: «Ad oggi 184.000 ristoranti coprono il 13% del Pil del Paese e assorbono dal 30 al 40% dei prodotti coltivati sul suolo nazionale. Siamo un fiore all’occhiello e rappresentiamo i valori italiani anche all’estero, vogliamo essere ascoltati e trattati con dignità» sottolinea Cesare Battisti, segretario generale dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto.

Il Decreto Rilancio pubblicato a maggio riserva già grande attenzione all’agricoltura. Oltre a uno stanziamento consistente di risorse, prevede provvedimenti importanti, come la possibilità di usufruire della cassa integrazione o di accedere ad agevolazioni e bonus. Ma non basta. Bisogna lavorare affinché gli stanziamenti vadano a premiare l’agricoltura e le filiere autenticamente sostenibili e in particolare, come si chiede nell’appello: “(…) estendere il credito d’imposta agli acquisti di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legato a filiere locali, in una misura pari almeno al 20%, da aumentare al 30% nel caso in cui tali aziende pratichino un’agricoltura biologica, biodinamica, o siano localizzate in aree marginali, disagiate e di particolare valore ambientale del nostro Paese”.

Proposte essenziali per costruire un futuro diverso e trarre un insegnamento da questa pandemia, perché i veri nemici da abbattere “saranno ancora la perdita di biodiversità, l’erosione del territorio, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, l’impoverimento della fertilità nei nostri terreni, la cementificazione, l’abbandono delle aree rurali e dei piccoli borghi, lo spreco alimentare, lo sfruttamento del lavoro, l’indifferenza per chi produce con attenzione alle ragioni e ai tempi della natura e l’individualismo, che fa prevalere l’io sul senso di comunità. Se vogliamo porre le basi di un futuro diverso dobbiamo cambiare prospettiva”.

Occorre dunque, anche in questo campo, ripartire dalla solidarietà, dall’economia di relazione e dalla valorizzazione del territorio e della sua cultura. L’esatto opposto degli assiomi neoliberisti imperanti negli ultimi decenni, che esaltavano la globalizzazione e la produzione massificata a basso costo, una strategia insostenibile, buona solo per concentrare la ricchezza nelle poche mani forti del mercato globale, ma deleteria per la salute delle persone e del pianeta. Per questo è imperativo invertire la rotta, partendo proprio da ciò che decidiamo di mettere in tavola (o di andare a mangiare al ristorante, per chi può): un cibo buono, sano, pulito, equo. E italiano.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.