Auschwitz, la potenza mostruosa dell’ideologia

«La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo». Mc 12, 1-12.

27 gennaio 1945: sono passati 70 anni da quando agli occhi allibiti dei soldati dell’Armata rossa, giunti in una fino ad allora ai più sconosciuta località della Polonia, Oświęcim, si presentò la vista del baratro nel quale l’umanità intera era precipitata. Pochi sopravissuti emaciati o prossimi alla morte per deperimento, rovine fumanti che inutilmente cercavano di nascondere i crimini compiuti dai nazisti in quel luogo – così come in molti altri luoghi in Europa, dovunque essi fossero giunti –.

Oświęcim è, infatti, il nome in lingua polacca di Auschwitz, punto di svolta della storia del faticoso cammino umano: Auschwitz Birkenau, il nome del campo di sterminio dove trovò la morte un milione di persone. In una landa desolata, chiusa da filari di alberi a poche centinaia di metri dal corso della Vistola, uomini e donne vi furono portati alla morte, come agnelli al macello, tra le grida d’odio e i colpi, le risate o l’indifferenza dei loro carnefici.

Eppure quelle vittime, oggi costituiscono per noi l’irrinunciabile misura della potenza mostruosa dell’ideologia – di quella nazista in questo caso, ma nemmeno oggi mancano esempi di altro segno –, della sua capacità di penetrare nella mente di uomini e donne fino a stravolgerne la ragione, fino a far compiere loro gli atti più efferati in nome della purezza della razza, della superiorità del popolo tedesco, della sua smania di dominare il mondo. Sono quelle vittime, gli scarti del potere di turno, le testate d’angolo di chiunque abbia a cuore, ancor prima che la democrazia, il cuore dell’uomo, il diritto di ciascuno a percorrere la strada, così breve, che ci è stato dato di compiere sulla terra: il diritto di amare, fare dei figli, lavorare, ridere e piangere insieme ad altri uomini e donne, stretti attorno ciascuno alla propria storia, ciascuno aperto ad accogliere, ad allargare i confini della propria famiglia riconoscendo in ciascuno un membro, uguale e diverso, della più grande famiglia umana. Che solo in un sistema autenticamente democratico può crescere liberamente. Liberi dal pregiudizio, dall’odio, dalla brama di potere. Fino al diritto di essere pianti in una tomba, contrassegnata dal proprio nome e dal proprio cognome, su cui ciascuno può porre un sasso o un fiore, o un pensiero: il diritto che alle vittime della Shoah, ai perseguitati politici, agli omosessuali, agli zingari, ai testimoni di Geova, ai disabili che di quel mostruoso processo furono vittime, volle essere negato e che noi oggi compiamo. Nella speranza che quella storia ci renda più responsabili e ci aiuti a percorrere le strade più piane della concordia e della pace.

 

 

 

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