Guerra in Ucraina, un anno dopo

Il 24 febbraio 2022, un anno fa, l’attacco russo dell’Ucraina. I carri armati di Mosca, gli stessi che in anni più lontani erano stati simbolo di oppressione a Praga, Budapest e Varsavia, violavano il confine ucraino con l’obiettivo – questa l’intenzione del presidente russo Vladimir Putin – di conquistare l’intero Paese. O meglio di denazificarlo, come recitava, e recita tutt’ora, la propaganda del Cremlino. Non una guerra ma un“operazione speciale”: rimettere cioè semplicemente ordine in casa propria poiché per la Russia quella ucraina era soltanto una sovranità fittizia. Ben pochi, un anno fa, pensavano che l’Ucraina avrebbe resistito e che sotto la guida di Volodimyr Zelenski – fino a poco prima ritenuto un attore televisivo asceso quasi per caso alla presidenza – tutto un popolo si sarebbe rivoltato contro l’invasore. Così l’Occidente, già pronto a recitare il de profundis sull’indipendenza ucraina, si è dovuto ricredere. Il sostegno organizzativo e militare è stata la logica conseguenza dello scatto di dignità di una nazione che ha innalzato la bandiera giallo-blu contro un nemico che voleva asservirlo.

A un anno di distanza molto è mutato nello scacchiere internazionale. L’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, da sempre tenacemente neutrali, è molto significativa di quanto l’aggressione russa abbia cambiato la percezione della propria sicurezza dei due Paesi scandinavi. Scontata, anche se non immediata, l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e in prospettiva probabilmente anche al Patto atlantico, del resto già oggi è come se Kiev facesse parte dell’alleanza.

Sul fronte militare l’inverno ha parzialmente rallentato le operazioni, sebbene i bombardamenti siano comunque proseguiti. Da settimane si attende l’inizio di una nuova offensiva russa per il controllo di alcune zone riconquistate dagli ucraini. Putin ha anche accennato alla Transnistria, regione russofona appartenente alla Moldova dalla quale vorrebbe rendersi indipendente. Un’aspirazione che Mosca non ha mai apertamente sostenuto ma che adesso potrebbe fornire qualche pretesto per fomentare disordini e offrire magari l’alibi per aggredire l’Ucraina da ovest. Difficile che una manovra del genere possa realmente concretizzarsi ma anche solo evocarla rappresenta un ulteriore elemento di tensione.

Chiaro che occorra trovare una via di uscita a questo conflitto assurdo. Già, ma quale? Cedere al ricatto moscovita che vuole annettere il Donbass dopo averlo raso al suolo? Sarebbe un invito a nozze per qualsiasi altro Paese canaglia che in nome di presunte rivendicazioni nazionali si sentirebbe in dovere di colpire l’indipendenza e la sovranità altrui. Qualcosa di inaccettabile.

Con un’escalation sempre dietro l’angolo, occorre comunque puntare ad un cessate del fuoco, il solo realistico passo in avanti nell’attuale insanabile contrapposizione tra i due fronti. La Cina – che appoggia sottotraccia Mosca ma non ha certo in uggia Kiev – ha presentato un piano di dodici punti da analizzarsi a fondo. Pechino si sofferma sul rispetto della sovranità di ogni Paese, su una sicurezza globale da ricercarsi attraverso il dialogo, sulla salvaguardia delle centrali nucleari, sulla necessità di preservare le forniture alimentari e di proteggere civili e prigionieri.

Alcuni punti sono, o dovrebbero essere, condivisi da tutti, per questo pare avventato il giudizio negativo espresso da Stati Uniti ed Unione europea. Si tratta di una prima pista di lavoro non di un documento da accantonare frettolosamente. E’ infatti giunta l’ora di provare ad individuare un minimo comune denominatore e da quello imbastire un percorso che porti verso la cessazione del fuoco. Serve un’iniziativa congiunta di Europa, Cina e Stati Uniti, solo l’azione congiunta di questa triade può avere successo. Poi si potrebbe immaginare una forza di interposizione Onu nei territori contesi.

Per questo, pur sostenendo con tutti i mezzi la resistenza ucraina, sarebbe opportuno riflettere sull’invio degli aerei richiesti da Zelenski. Essi rappresentano un salto di qualità offensivo che si potrebbe tenere come ulteriore colpo in canna qualora non dovesse in alcun modo decollare l’opzione di una tregua.

L’Italia si sta muovendo sulla linea europea di pieno sostegno militare a Kiev. E’ però insensato tarpare le ali a qualsiasi tentativo di ragionamento che si discosti dal clima generale. Che un ex presidente del Consiglio come Silvio Berlusconi evochi i tempi di Pratica di Mare quando Russia e Stati Uniti dialogavano pacificamente sugli assetti mondiali, merita una riflessione. Non significa abbassare la guardia – l’Ucraina resta la vittima, la Russia rimane l’aggressore – ma soltanto aver presente che la guerra non è ineluttabile. Larga parte della nostra classe politica sembra averlo dimenticato: bene fa il Cavaliere a squarciare il velo di questa pericolosa amnesia collettiva.

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