1957-2017: da Roma riparte l’Unione

Da Roma, con la festa per il 60° anniversario del Trattato della Comunità europea, riparte una grande storia comune. Il documento firmato dai 27 Paesi membri, rilancia l’Unione, parlando di un’Europa sicura, forte e sociale, capace di proseguire il cammino della sua integrazione politica. Certo le difficoltà permangono ma emerge, più chiara che mai, la volontà guardare ad un futuro comune, di un’Europa indivisa e indivisibile.

Un bel modo insomma di festeggiare i sessanta anni da quel 25 marzo 1957, quando nacque la Comunità europea. Quel giorno i capi di Stato e di Governo di sei Paesi: Antonio Segni per l’Italia, Christian Pineau per la Francia, Konrad Adenauer per la Germania, Paul-Henry Spaak per il Belgio, Joseph Luns per l’Olanda e Joseph Beck per il Lussemburgo, decisero di mettere in comune il proprio destino.

Il Trattato era il punto di approdo di altri progetti di integrazione che avevano visto la luce nei primi anni Cinquanta. Per prima la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), per mettere in comune le due risorse che per decenni avevano segnato i conflitti tra Francia e Germania. Poi la Comunità europea di Difesa (Ced) per porre le basi di un esercito sovranazionale, progetto che si arenò per il voto contrario del Parlamento francese. Quindi la Comunità dell’energia atomica, per sfruttare in comune e per fini pacifici questa nuova risorsa energetica.

Il Trattato di Roma del 1957 fu però quello che parlò, per la prima volta, di integrazione politica e da allora l’Unione non ha mai smesso di crescere. Dapprima nel 1973 con l’ingresso di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, poi con l’ampliamento verso il Mediterraneo. Nel 1981 fu così il turno della Grecia e nel 1986 di Spagna e Portogallo. Nel 1995 toccò ad Austria, Svezia e Finlandia e poi nel 2004 scoccò l’ora dell’allargamento ad Est. Ben dieci i Paesi ex comunisti ammessi che, dopo la caduta della cortina di ferro, bussavano alle porte dell’Europa democratica. Una scelta lungimirante, anche considerando il successivo intiepidirsi degli entusiasmi europeisti e il riattizzarsi dell’espansionismo russo. L’ingresso di Romania e Bulgaria nel 2007 e della Croazia nel 2013, completò la presenza dell’Est nell’Unione, in attesa che, a chiudere il cerchio, approdino anche Serbia, Bosnia e Montenegro.

Abbiamo assistito a un mutamento sul piano quantitativo che dovrà adesso trovare una più incisiva evoluzione sul piano qualitativo, con nuove competenze da mettere in comune in un complessivo rilancio dell’Unione. Questo è quanto ci si attende dopo la duplice scadenza elettorale francese e tedesca, importante banco di prova per le prospettive europeiste. Frattanto tra pochi giorni si aprirà la Brexit e si chiuderà, non senza un certo rammarico, una lunga storia che Londra aveva aperto quarantaquattro anni fa con tante aspettative.

Adesso viviamo un’epoca di montante populismo antieuropeo, ma un tempo l’Europa accendeva unanime entusiasmo. Così proprio la Gran Bretagna, nel 1963, chiese di fare parte della Comunità, inizialmente respinta dal veto francese che sarebbe caduto pochi anni dopo. Anche la Spagna franchista bussò alla porta europea ma il suo regime fu ritenuto incompatibile con le altre democrazie e dovette accontentarsi di un semplice accordo di associazione. Diversa ancora la situazione della Turchia, la cui richiesta di adesione rimonta agli anni Sessanta ma che, in considerazione del suo attuale quadro politico è da ritenersi rinviata a tempi indefiniti.

L’Unione, oggi da taluni ritenuta la causa di tanti nostri mali, un tempo era una meta cui aspirare. Forse questa disaffezione è dovuta all’abitudine, a dare per scontate troppe cose. Eppure basterebbe davvero fare due conti con la storia per pensarla in tutt’altro modo. Grazie all’unità dell’Europa, il nostro continente, tormentato nel suo passato da sanguinose guerre, vive nella pace e nella collaborazione tra i popoli. E nello stesso tempo l’Unione è l’area mondiale di maggior benessere, con un modello sociale inclusivo che protegge le persone come non avviene in alcun altro angolo del pianeta.

Ora è il momento di ritrovare le ragioni del nostro stare insieme. Occorre muoversi , a più velocità o con diverso ritmo, verso una più forte unità europea. Divisi contiamo nulla, insieme si può fare tutto: questo l’orizzonte da dare ai nostri prossimi decenni.

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