Il giorno del ricordo di una guerra di sterminio senza esclusione di colpi

10 febbraio 2014, sono trascorsi ormai quasi settant’anni. La seconda guerra mondiale fu un conflitto terribile: una guerra di sterminio senza esclusione di colpi. Per Trieste, Gorizia, l’Istria, il Fiumano, Zara e le isole della Dalmazia, ambite dalla Jugoslavia titoista, significò l’insorgere di violenze peculiari determinate dalla volontà politica di eliminare chiunque potesse contrapporsi alle volontà annessionistiche jugoslave.

I massacri delle foibe, che già avevano colpito l’Istria nell’autunno del 1943, si ripeterono nel Triestino, nel Goriziano, nel Fiumano, a Pola nella primavera del 1945 ed oltre. E con essi deportazioni di massa e l’avvio di quel lungo, doloroso processo, forma di violenza anch’esso, che va sotto il nome di esodo e che vide il progressivo, difficile abbandono di quelle terre da parte della stragrande maggioranza della popolazione italiana.

Fu il collasso dell’italianità adriatica, la fine di un mondo e delle sue tradizioni secolari, di un’intera civiltà. Pagarono, quelle popolazioni, il prezzo della guerra, con un’Italia che non poteva, non aveva l’autorevolezza per difendere le proprie posizioni alle trattative che condussero al Trattato di pace di Parigi, firmato appunto il 10 febbraio 1947. Ma non fu pace; per molti allora iniziò l’esodo e con esso difficili esperienze esistenziali: i campi profughi e la problematica accoglienza in un’Italia annichilita dalla guerra.

Per altri, le speranze di poter sfuggire alle ambizioni territoriali jugoslave si prolungarono per altri otto anni nella precaria condizione “sospesa” della zona B, di un mai nato Territorio libero di Trieste. Poi, con il Memorandum di Londra del 1954, anche queste esili speranze vennero meno; si verificò così un nuovo “grande esodo”, che ebbe questa volta soprattutto in Trieste, finalmente riassegnata all’Italia, e in Gorizia le sue mete. Ciò pose al territorio della Venezia Giulia seri problemi per far fronte all’emergenza determinata dall’accoglienza di persone che avevano tutto perduto.

Le popolazioni istriane, fiumane e dalmate fronteggiarono quelle avversità con compostezza e dignità; e molti, pur nelle difficoltà, seppero accoglierli, farsene cura, dare loro una prospettiva di integrazione in una patria che era la loro, ma che talora si rivelò matrigna Le Acli triestine, in particolare, si prodigarono con spirito fraterno per offrire accoglienza e speranza agli esuli.

Questo accadde nella Venezia Giulia nel lungo secondo dopoguerra giuliano. Questo si ripete, oggi, in altri angoli del mondo. Sta a noi fare tesoro di quella terribile esperienza, trarne una lezione per rendere migliore il tempo che ci è dato di vivere. Per noi, è quindi fondamentale ricordare, portare nel cuore, per conservare la memoria di storie, persone, vicende che hanno provato sulla loro pelle ciò che, oggi, altri provano altrove; altri che bussano alle nostre porte e che è nostro dovere accogliere; per rendere meno amari, per quanto possibile, l’esilio, la lontananza, l’abbandono delle proprie radici.

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